I tre porcellini e la pipa che non c’è
All’inizio c’era una pipa. E noi, per non perderla, l’abbiamo appoggiata in fondo a questo articolo.
I primi, i più diffusi, tacevano per quel che gli capitava di guardare. Ovunque poggiassero lo sguardo. Nebbia e tutti i rumori della palude. Qualche strillo, poca cosa. Come se i polli di Renzo non sapessero che erano polli legati per i piedi a cui di lì a poco sarebbe stato tirato il collo. Lo sapevano, si dibattevano, gridavano con ipocrisia vegano è bello . Noi: Vegano è altrove. Qui nel frattempo si mangia. Steve Jobs – “ Il vostro tempo è limitato, quindi non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro. Siate affamati, siate folli, perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo lo cambiano davvero.” Siate affamati non era rivolto a noi.
La fame si nutre di quel che gli diamo: pensieri e parole. Tutti uguali certo, ma all’anagrafe, diceva chi poteva permetterselo. In realtà non ce n’è uno uguale a quell’altro. Uguale nei diritti e nei doveri, le stesse condizioni, le stesse possibilità. Diritti certo ma poi bisogna anche vedere la capacità, il temperamento, la fortuna. La fortuna ha una sua natura, un suo mistero. A volte è sprecata, altre miracolosa. Uguali nei doveri. Sono tante le cose che esigono che noi, ognuno di noi, faccia la sua parte. Guidare a destra non in ogni angolo del mondo è un dovere che mette ordine; salutare con gentilezza mette allegria; entrare in orario a scuola, in ufficio, a teatro. Pagare quel che è dovuto, riporre le cose al loro posto. Leggere, scrivere, far di conto. Con lo spelling sulla parola diritti si fa prima: i diritti non ci sono : se ne parla, tanto, ovunque. Si può sostare pagando col telepass, uscire di casa all’ora che vuoi, avere opinioni tue e un carattere di merda. Tutto il resto te lo devi comprare. Costa quel che hai. Poco ? Pochi diritti. Tanto ? Tanti diritti. Si può arrivare a tutto. Gregory Corso mi disse che pagavano bene il suo sperma, credevano garantisse un dna folle, bislacco, disperato. Qualcuno è disposto a rischiare pur di godere di un futuro a sorpresa.
Ora passiamo ai secondi, alla seconda parte dei tre. Sono tanti ma meno dei primi e sono non più allegri ma più perentori. Sanno di chi è la colpa. È di quello che hanno sempre indicato loro, il più prossimo. Stessa matrice sociale, stesse abitudini, stesso egoismo, stesso pressappochismo, stesse vacanze in montagna o al mare. Stesse rate. Ma loro, tutti loro, sanno che la colpa è di Matteo Renzi. Questo per dire solo en passant l’ultima moda. Non hanno mai digerito il fatto di non essere mai stati presi in considerazione. Alcuni entrarono nel cono di luce del suo oblò che scorreva lungo il muro, sorrisero, pensarono finalmente, ma non si mossero, indugiarono nella convinzione che ormai era fatta, erano stati notati, inquadrati, e tornarono nell’ombra, e divennero ombrosi ed ostili. Comunque si tratta di un dettaglio, denso, intenso, ma pur sempre un dettaglio perché scaricare la colpa sulla signora che incrociamo sul pianerottolo è comune e consueto. Quella lì non capisce un cazzo, spazza male, e stende i panni ancora gocciolanti. Una cretina, un cretino, una famiglia di cretini. Buon giorno Maria. La soddisfazione che dà quel piccolo verso assertivo in cui il dito segnala gli interessi personali che l’asservimento soddisfa. Crede che non si sappia chi paga i suoi capricci, la carriera di sua cugina, gli affari del nonno ? Si sa, ci sta. Traditori.
Ed ora arriviamo al tre. Guardo con attenzione e scartando quel che resta della rissa non trovo che me. Solo? No, non sono solo. Li vedo, li leggo, li ho in gran simpatia. Ma quello sono solo io. Quello che fui, quello che sono, quello che sarò. Come gli altri. Voi tutti. Ieri sera Lea mi ha mostrato le foto dei suoi lavori. Mi ha raccontato del bisturi che taglia la carta disegnando. Lasciando che emergano le forme. Dobbiamo aver gli occhi acuti delle ricamatrici, i segni ampi delle streghe, dobbiamo averne voglia prima che ragione.
Penso che ciò che stiamo attraversando è un tempo morto. Un dispiacere. Non solo per ciò che dispone. Per l’indifferenza di fronte alla vita degli altri. Del vicino. Ma oltre al modo è più ancora per il perché. Perché? Prima i Livornesi.
Berlino è persino ridicola tant’è: una Signora anziana, grossa, non so se più anziana o più grossa ma ora che ci penso non doveva poi essere così vecchia, spingeva una carrozzina con seduta una bambina non ancora in grado di camminare. Ai lati le si stringevano cinque bambini tre maschietti e due femmine. La più grandicella non si allontanava dalla Signora che non sbraitava, non diceva nulla. Ai semafori la carovana si fermava. Col verde ripartiva. Anche i bambini non erano chiassosi. Giocavano, conversavano, interpretavano la parte dei personaggi che, andando, si erano assegnati. Poi i tre maschi hanno attaccato a correre ed io mi sono allarmato. La Signora con il suo passo sapeva e procedeva. C’era poco più avanti sulla sinistra un arenile, un parco attrezzato per bambini piccoli. Tanti bambini, pochissimi adulti silenziosi, sovrappensiero. Normale fidarsi gli uni degli altri e prima di tutto di se stessi. Cosi pare perché così è, naturalmente salvo eccezioni che restano davvero eccezioni.
Livorno è stata il porto della mia infanzia, Berlino l’isola di questa vecchiezza, di fitte intercostali, di attese noiose, di cure. Degli altri e di sé. Ma noi siamo la terza parte della cosa. La più mingherlina, la più insignificante. Non avere intenzione e l’abitudine di puntare il dito accusatorio contro i parenti rende ampie le distanze del vissuto. Lasciato andare se non cacciato l’attimo fuggente si quieta, siede a terra e aspetta. Come fa Mattarella che qualcuno vorrebbe fosse Napolitano. Io non riesco, malgrado ci provi, a immaginare Pertini, un Presidente a cui fosse capitato in sorte Salvini. Mi pare di vederlo battere la pipa sulla testa del fetentone esclamando: ceci n’est pas une pipe.