19 Dicembre 2024
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Spagna spaccata al voto

Domenica prosssima, per la seconda volta in poco tempo, la Spagna torna al voto.  Ripete le elezioni politiche dello scorso aprile, vinte dal socialista Pedro Sánchez (arrivato al governo nel giugno 2018 in virtù della sfiducia a Rajoy, allora in carica). Ma precedentemente, nel dicembre 2015, pure il popolare Mariano Rajoy, che aveva vinto le elezioni, le aveva ripetute nel giugno 2016. Quindi, sì, quattro elezioni in quattro anni e grandi difficoltà per raggiungere maggioranze e formare il governo. È evidente che qualcosa non va.

Purtroppo la situazione politica presente è peggiorata rispetto a quella delle elezioni immediatamente anteriori, del mese di aprile, e le difficoltà per formare un governo (o comunque per avere una maggioranza stabile in parlamento) potrebbero addirittura aumentare. Da aprile a novembre la situazione economica è diventata più preoccupante (il tasso dei senza lavoro in Spagna è del 14% ca.) e la crisi catalana si è acuita, soprattutto dallo scorso 14 ottobre, quando si è resa pubblica la sentenza della Corte suprema di condanna severa dei politici responsabili del tentativo di proclamare la repubblica catalana nell’ottobre 2017. Questa crisi, poi, è diventato il fulcro di tutta la campagna elettorale.

Il movimento indipendentista catalano sta slittando verso sbocchi violenti, di cui si è visto un campione nelle televisioni: i gravi incidenti per le strade di Barcellona nello scorso mese di ottobre. I loro leader (fondamentalmente ci sono 3 partiti e 2 grandi associazioni) sono immersi in una corsa fra loro vinta sempre dai più radicali –con Puigdemont in testa- , davanti ai quali gli altri non osano frenare. Nel frattempo la società catalana è divisa, anzi spaccata, e le pressioni quotidiane contro chi è contrario all’indipendenza affogano le libertà di tutti (di più nei piccoli centri dell’entroterra agricolo e militante). Il potente governo regionale (al comando di 17mila poliziotti) il cui presidente tifa per i dimostranti e la classe politica indipendentista -comunque molto divisa- rischiano gravemente di perdere il controllo della situazione.

Intanto, sulla scia dell’Italia, i partiti politici spagnoli si moltiplicano, e i parlamenti (anche quelli regionali) sono sempre più divisi. Si è perso l’asseto politico stabile derivato dalla Costituzione del ’78 e dalla prima legge elettorale (ancora in vigore), in cui si alternavano nel governo due grandi partiti uno di centro-sinistra (PSOE) e un altro di centro-destra (PP). Lasciando da parte le formazioni regionali (forti in Catalogna e nei Paesi Baschi) domenica prossima gli elettori potranno scegliere fra 2-3 formazioni di sinistra e 3 di destra, tutte di ambito nazionale. A sinistra, oltre al maggioritario PSOE di Pedro Sánchez (47 anni), alla sua sinistra c’è Unidas Podemos, il raggruppamento di Pablo Iglesias (41 anni) e, all’ultimo momento si è aggiunto Mas País, scissione di Podemos nata per collaborare strettamente con il PSOE. A destra, invece, ci sono il Partito Popolare di Pablo Casado (38 anni), il partito Ciudadanos di Albert Rivera (39 anni) e Vox, di Santiago Abascal (43 anni).

Sanchez è quello che rischia di più: ha convocato nuove elezioni quasi per calcolo personale, dopo non essersi impegnato davvero a formare un governo, per il quale aveva più maggioranze possibili in parlamento. Lui contava di aumentare non poco il numero di seggi domenica prossima ma non è affatto sicuro che ci riesca. Il Partito Popolare, con il suo neosegretario generale, è reduce dalle insufficienze e dagli errori del governo di Rajoy (il loro ex-premier) oltre che dei propri nell’anteriore campagna elettorale, e cerca di ricomporsi dai poveri risultati ottenuti nell’aprile scorso, e a dire dei sondaggi ci riuscirà, ma non andrà tanto lontano come sembrava fino a poco fa, per la forza emergente di Vox. Vox è l’estrema destra virginale spagnola: tradizionale, identitaria, sovranista, escludente, molto populista (come Podemos e gli indipendentisti) non violenta, mancante di un programma veramente realizzabile ma che, a quanto pare, sta conquistando sempre più consensi, soprattutto sulla gobba degli eccessi dell’indipendentismo catalano, al punto che potrebbe diventare la terza forza politica in parlamento (a seguito di PSOE e PP). Il terzo partito di destra, o centro-destra, Ciudadanos, alcuni mesi addietro era quello vincente, ma da quando Sánchez è salito al governo (giugno 2018) ha cominciato a perdere piede; il suo leader, Rivera, ha intrapreso una traiettoria politica errabonda, schierandosi verso destra, allontanadosi dal centro (a beneficio di Sánchez) e volendo contendere il primato della destra al Partito Popolare di Casado, ma non ci è riuscito e i sondaggi gli mostrano brutte notizie: potrebbe perdere gran parte dei suoi seggi attuali.

L’emozione quindi durerà fino all’ultimo. La campagna elettorale finisce oggi venerdì, e i sondaggi non si possono più rendere pubblici. Si temono incidenti alla vigilia o durante le votazioni in Catalogna. Sorvola il pessimismo sui risultati elettorali: una Spagna più divisa, un indipendentismo catalano più radicalizato, una estrema destra molto potente in grado di  condizionare tutto il centro-destra, insomma un parlamento e un paese ancora più difficilmente governabili. E pensare che con i risultati di aprile PSOE e Ciudadanos insieme, cioè Sánchez e Rivera, raggiungevano una stabilissima maggioranza assoluta in  parlamento!