Bonaccini ha indovinato ciò che Salvini ha sbagliato
Bonaccini, il presidente regionale emiliano-romagnolo riconfermato dalle recentissime elezioni, ha giocato un ruolo soprattutto localistico, tecnocratico, quasi apartitico, nella rivendicazione di un buongoverno, quasi senza etichette, della regione emiliano-romagnola. È in gran parte vero, ma è facile fare il bravo amministratore in Emilia e tra le simpatiche teste calde romagnole. Sono le terre di Mussolini e Nenni, “amici contro” (come fu il titolo di un film mai girato il cui testo fu scritto da Nicola Badalucco, sceneggiatore di Visconti ma anche vecchio ghost writerdi Pietro Nenni).
Se si vedono le linee di prevalenza del voto al PD e alle liste collegate, si evince però una sorta di divisione tra campagna e città (roba da Mao Zedong) che è del tutto nuova nella storia delle sinistre emiliane. Le città, oggi poli del “ceto colto” e del terziario, contro le periferie contadine ma evolutissime, e della piccola e media impresa, che vive in Emilia e in Romagna gli stessi problemi di nanismo costrittivo e di infrastrutture vetuste che sopportano i loro colleghi del Nord. E la protezione, vecchia tecnica di Dozza rielaborata da Bonaccini, ai ceti potenzialmente avversi ha di molto limitato i danni del sindacalismo produttivo, imprenditoriale e localistico, che è la chiave di volta della Lega. Sempre ai tempi di Dozza, appunto, la Bologna “grassa” (“triste come un emiliano in una trattoria toscana”, diceva Leo Longanesi) si reggeva su tre pilastri: il PCI, che era penetrato in tutte le casematte gramsciane della società civile emiliana; la Chiesa Cattolica, potentissima fondatrice, per ridurre proprio l’influenza culturale del PCI, ma con i soldi degli americani de “il Mulino”; la Massoneria, potentissima in Emilia e Romagna da sempre, che controllava molte reti accademiche e bancarie, tramite la sua storica Loggia “Zamboni-De Rolandis.
Ora, c’è e ha vinto il buongoverno senza aggettivi di Bonaccini, che ha eliminato dalla sua campagna elettorale i simboli del PD, ma agisce secondo i vecchi canoni ideologici, rinnovati dal perception management, con la grande deriva ideologica e simbolica parallela, senza alcun tratto tecnico e amministrativo, le famose “sardine”. Polarizzazione ideologica, movimenti paralleli di pura “sensazione”, pompatissimi dai media, sarà questa la nuova forma della battaglia politica postmoderna. Il tecnocrate anodino e le sardine, i tonni, le tagliatelle, o i seguaci di Dylan Dog a creare il veicolo del messaggio tecnico, il suo rivestimento simbolico e affettivo. Sarà così per molto tempo, in futuro.
Probabilmente le sardine sono un prodotto di qualche buona agenzia pubblicitaria, ma sono state il perfetto controcanto mitico e simbolico alla campagna, tutta tecnocratica, del Presidente confermato. E hanno riattivato il voto giovanile, non più attratto dai 5Stelle, e anche buona parte del voto del ceto medio proletarizzato, tra insegnanti e vecchi burocrati della grande rete pubblica regionale emiliana e romagnola. Il buongoverno di Bonaccini, e la sua attenta scelta dei candidati, sono stati essenziali per il suo successo, superiore a quello delle liste a lui collegate. Senza buongoverno vero, quindi, niente sardine.
I comuni della regione che erano già di sinistra, hanno visto una crescita poderosa della partecipazione alle attività di propaganda elettorale per Bonaccini. Mentre ciò non è accaduto per la Borgonzoni nei comuni, anche importanti, che sono già governati dalla Lega o dal Centro-Destra. La Destra (ogni tipo di destra) non sa fare una politica di massa organizzata, salvo il mito del Capo e la diffusione onlinedelle sue attività di assaggiatore di prosciutti e grana nell’immensa Food Valleyemiliana e romagnola. Anche questo ha contato. Salvini ha subito politicizzato lo scontro, e questo ha causato la ulteriore radicalizzazione delle “sardine”.
Le categorie mobilitate dalla sinistra e dalla lista Bonaccini sono state soprattutto gli studenti, gli impiegati, molti operai, i disoccupati; mentre la lievissima Borgonzoni ha mosso, statisticamente parlando, la militanza organizzata degli imprenditori, dei liberi professionisti e delle casalinghe.
La campagna elettorale di Salvini, che ha creato sistematiche occasioni di scontro gratuito e ha eclissato la vera candidata, ha fatto il resto. Non basta fare il simpatico, peraltro in una terra dove lo sono tutti.
Il problema è che, ormai, chi raccoglie tanti voti si dimostra ipso factoincapace di governare, il demagogo è infatti il contrario esatto dello statista, ma non è affatto detto che, oggi, uno statista vero, nelle elezioni della società dell’immagine e della pubblicità emozionale, potrebbe farsi strada da solo.
Quindi, avremo in futuro tantissimi voti raccolti proprio da chi, raccogliendoli, si dimostra un perfetto incapace, mentre una quota di amministratori o di statisti, senza una pubblicità emozionale di supporto, sarà priva di voti.