I farmaci per trattare il Coronavirus
Centinaia di persone guarite dal nuovo coronavirus. Molte spontaneamente. Altre hanno anche ricevuto trattamenti farmacologici. Esistono quindi farmaci che riescono a contrastare la proliferazione del virus nei pazienti infetti? Oppure sono stati utilizzati solo farmaci attivi sui sintomi e la guarigione è stata spontanea come per gli altri? La Società Italiana di Farmacologia (Sif) interviene per fare chiarezza su quattro cose da sapere.
Ci sono farmaci all’orizzonte?
Oggi siamo di fronte al tentativo di utilizzare principi attivi già pronti. Ci sono però scienziati per i quali sarebbe opportuno evitare farmaci che si sono dimostrati attivi su altri virus, ma il cui bersaglio ha una rilevanza bassa nel Covid-19, e ci sono studi clinici con questi farmaci (Baloxavir Marboxil, Oseltamivir e Umifenovir) che presumibilmente daranno il loro responso per il mese di maggio. Più promettenti sembrano essere i risultati attesi dal farmaco Remdesivir per il quale ci sono rapporti soddisfacenti del suo impiego per Ebola, i cui risultati si attendono per fine aprile. Testati anche farmaci quali il Favipiravir, normalmente usati per l’influenza di tipo A e B e, con anche altre motivazioni, farmaci molto vecchi quali l’antimalarico clorochina, o farmaci anti-HIV e, ancora, gli antivirali Saquinavir, Indinavir, Lopinavir e Ritonavir. Da menzionare anche il Tocilizumab, un anticorpo monoclonale normalmente usato per il trattamento di alcune forme di artrite. La Sif sottolinea infine che “la fase è ancora quella di studio” ma che c’è “una coalizione scientifica mondiale per trovare rapidamente soluzioni adeguate”.
Ci sono farmaci utili a contrastare l’infezione da Covid-19 nei pazienti?
Covid-19 è nuovo e, per identificare un farmaco capace di agire contro di esso, è necessario identificare la struttura o le strutture del virus che si prestano a essere il bersaglio per essere attaccate con successo. Come fu per l’Aids.
Cosa sappiamo del SARS-COV-2?
Sappiamo che il suo codice genetico è a RNA (come quello dei virus dell’influenza, dell’HIV, della SARS, di Ebola), sappiamo che ha un elevato grado di infezione (passa molto facilmente da un individuo malato a uno sano) ma abbiamo ancora bisogno di conoscere come evolve l’infezione, perché è così diversa tra individuo e individuo, perché alcuni individui non manifestano la malattia mentre altri vanno incontro a polmoniti gravissime, spesso letali. Dobbiamo dare in fretta risposta a queste domande, per trovare qualcosa che ci permetta di arginare il virus.
I vaccini servono per trattare i pazienti affetti da Covid-19?
Per il trattamento delle epidemie virali, i vaccini sono certamente la soluzione migliore perché abbattono la diffusione dell’infezione e riducono il numero delle persone contagiate. Ma per Covid-19 non ne disponiamo ancora. Anche i vaccini richiedono tempo per essere messi a punto. Molti di essi sono in fase di sviluppo e per alcuni sono già state richieste le dovute autorizzazione per provarli sull’uomo. In ogni caso i vaccini non sono l’arma corretta per i pazienti che hanno la malattia in corso, per la quale invece sarebbero utili veri e propri farmaci.
Chitochine come soluzione?
I gravi danni causati ai polmoni e ad altri organi nei pazienti affetti da coronavirus sono causati dai livelli altissimi di citohine scatenate dal sistema immunitario per difendersi proprio dal COVID-19. Sembra che alcuni farmaci per la cura dell’artrite reumatoide inibiscano l’eccessiva e violenta produzione di citochine. Pertanto i polmoni non vengono danneggiati da esse, come è accaduto in un paziente gravemente compromesso ai polmoni, che in 24 ore ha visto sparire l’infezione polmonare interstiziale. Speriamo.
[notizia ANSA]