Insegnare (e imparare) a distanza
Insegnare a distanza ai tempi del coronavirus ha dimostrato la validità del detto di necessità virtù, e si può dire che sia stato un primo esperimento su larga scala sul quale è opportuno fare delle considerazioni.
L’Ateneo di Urbino, dove insegno, ha reagito con prontezza ed efficienza alla sospensione delle lezioni de visu, e la piattaforma sulla quale erano stati già sperimentati, negli anni passati, corsi in parziale o totale erogazione online delle materie ha funzionato bene, a parte le prevedibili ore d’ingorgo. Alcuni problemi tecnici potranno essere superati negli anni con modelli sempre più raffinati e capaci. Io credo, però, che la valutazione dell’opportunità dell’insegnamento a distanza sia misurata da altri fattori che non sono quelli dettati dall’emergenza.
a) La prima considerazione è di natura pratica prima. Per mettere su un buon insegnamento a distanza occorre guardare all’utente (mi si perdoni questo vocabolario un po’ grigio, amministrativo), che, nel caso specifico dell’Università, è socialmente selezionato, non nel senso che appartiene a ceti agiati, ma nel senso che, per ottenere un buon rendimento, non può non essere dotato di una solida strumentazione tecnologica, al fine di seguire comodamente lezioni a distanza; non così, però, nella scuola l’obbligo, che rende egualistudenti socialmente eterogenei all’interno delle mura scolastiche, ma li differenzia allorché ciascuno di essi torna all’ambiente socio-familiare di provenienza. Purtroppo, all’indomani del provvedimento restrittivo, non era possibile sapere se ogni studente avesse la possibilità di poterlo seguire, ancor meno di verificare se lo strumento fosse idoneo e la connessione all’altezza; d’altra parte, prima del provvedimento non mi pare si sia provveduti a verificare se alcune materie insegnate in laboratorio (sia nella scuola, penso nei licei artistici e negli istituti tecnici; sia nell’università, e qui gli esempi si sprecano) potevano essere insegnate, con lo stesso profitto, a distanza.
b) La seconda considerazione è di ordine intellettuale, e riguarda il valore della modalità didattica dell’insegnamento a distanza. Non v’è alcun dubbio che il messaggio formativo delle lezioni passi con minore efficacia attraverso il medium tecnologico, di quanto non passi quello informativo, senza parlare di quello emotivo, che viene spento e raffreddato dal blackmirror. Svolgendo una lezione davanti a uno schermo nero, davanti a delle icone che rappresentano gli studenti (siano essi poche unità o diverse decine, in genere preferiscono non farsi “vedere”, per le più svariate ragioni), il contenuto della lezione è veicolato soltanto dalla voce e non trascorre attraverso gli altri sensi, si disincarna, diventa astratto, replicabile (se registrato): insomma, il dialogo caldo e vivo della lezione si trasforma in uno “spettacolo” riproducibile a freddo in differita.
Conseguenza irreparabile: si spezza la situazione enunciativa della lezione, nella quale si realizza la missione intellettuale del docente, che è quella “formativa”, non meramente “informativa”; in altre parole viene a mancare quel cortocircuito di sguardi e respiri in cui si avverte fisicamentela creazione di una comunità, di un gruppo umano in cui la com-presenza è base fondamentale nella trasmissione del sapere. Se l’atto di insegnare contiene qualcosa di platonicamente “erotico” (un vecchio assioma, che di tanto in tanto gli studiosi sottolineano), va da sé che esso riesce meglio quando avviene all’interno di uno spazio convissuto, piuttosto che quando docente e studenti possono posizionarsi, ciascuno nel proprio angolo casalingo, ciascuno allestendo una scenografia tale che, eventualmente svelata, possa rimarcare l’appartenenza a universi interconnessi ma estranei, a singolitudini refrattarie a ogni contaminazione di sguardi e di aliti.
In tal modo, il docente universitario, davanti a uno schermo pieno di icone grigio-rosa, infila un paio o più ore di serrata concione, con la speranza che l’attenzione degli studenti sia effettivamente orientata su quello che lui dice, e dopo aver invitato cortesemente, e spesso invano, gli studenti a intervenire, saluta, spegne, e si rinchiude nel suo studio. Gli studenti, a loro volta, timidamente raccolti nella loro intimità domestica, ascolteranno la lezione con compassato e rispettoso silenzio, e una volta finita torneranno a rintanarsi nel loro guscio. La livida distanza che lo schermo frappone costituisce una soglia invalicabile perché il professore possa sentirsi stimolato a “costruire” la sua lezione in itinere, insieme congli studenti, pubblico attivo, confortato dall’attenzione e dall’interesse che egli riesce cogliere nel loro sguardo.
Insomma, perché il messaggio della lezione diventi “formativo”, e non presenti un mero taglio “informativo”, è necessaria l’actio, che è l’ultima parte della retorica classica in cui il discorso, agito dall’oratore, “agisce” a sua volta sul pubblico, trasformando l’animus degli studenti (docere, delectare, movere: non dico niente di nuovo). Per intendersi, il telegiornalista, seduto davanti a una telecamera, “informa”, e noi possiamo ascoltarlo o meno mentre cuciniamo o mangiamo o parliamo; l’insegnante, invece, non solo “informa”, passando dei contenuti ai suoi allievi, ma li “forma”, trasmettendo loro i valori fondativi del suo mestiere (a cominciare dall’“umiltà” e dall’“apertura”) che non rientrano fra i contenuti informativi, semmai li sostengono, soprattutto li “inverano”, li rendono autentici.
Si tratta di una questione “intellettuale” di non poco conto, dal momento che l’insegnamento a distanza riconfigura il senso della missione intellettuale del docente, il suo obiettivo principalmente formativo. Non è un caso che da decenni gli innumerevoli progetti e provvedimenti ministeriali di riforma didattica della scuola insistano più sulle “competenze” che sulla “formazione” dello studente. Una scelta che può essere letta in chiave etica e politica, se è vero che le competenze facilitano la cooptazione da parte del sistema economico mondiale (in cui le borse sono più importanti di musei e biblioteche): laddove una capacità di riflessione consapevole sul destino proprio e del pianeta, quale presupporrebbe un obiettivo formativo, può indurci a ripensare tale sistema…
Per concludere, tornando alla nota d’avvio, credo che l’adozione dell’insegnamento a distanza, pur imposto dall’emergenza, non è consigliabile in una situazione di studio “concentrazionario” qual è quello imposto dalle odierne misure restrittive, che costringono studenti di ogni ordine e grado, dalle elementari all’università, a stare chiusi per settimane in case spesso di poche decine di metri quadri in cui l’invito a svolgere attività fisica, ove non suoni impraticabile per motivi logistici, non è che un labile palliativo. Certo, di necessità virtù, ma anche mens sana in corpore sano. Dopo ore e ore di computer sarebbe opportuna una bella passeggiata, magari in un luogo appartato e salubre, sia per non esporsi ad assembramenti contagiosi, sia per ritrovare l’equilibrio psico-fisico proprio di ogni organismo vivente. Com’è vero che non ci si ammala solo di covid-19, ma anche di altro.