19 Dicembre 2024
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Hai Zi, Un uomo felice, Del Vecchio Editore, 2020, euro 15

“Cammino per strada/canto canzoni/venti forti spazzano i colli/sopra il cielo è infinito”. Sono versi di Hai Zi del 2 Febbraio 1989, il poeta cinese venticinquenne che il 26 marzo di quello stesso anno si toglierà la vita sdraiandosi sopra le rotaie, a duecento chilometri da Pechino. Versi che risuonano ossimorici rispetto al progetto che senza dubbio già accarezzava. In effetti Hai Zi contiene in sé questo contrasto che non è riuscito a risolvere. Nel suo zaino c’erano una Bibbia, i racconti di Conrad, “Walden” di Henri David Thoreau e Kon-Tiki di Thor Heyerdahl. E poche righe: “Mi chiamo Zha Haisheng, sono un lettore di filosofia presso l’Università di Legge. La mia morte non ha a che vedere con nessuno. Ogni mia volontà precedente non è più valida: i miei manoscritti postumi devono essere consegnati a Luo Yihe, dell’ufficio editoriale di October, affinché li amministri”.

Eppure c’è una forte volontà di vita, un legame inscindibile con la terra dei suoi avi, con la bellezza del creato, con la realtà nella sua concretezza, con l’amore: “Datemi cibo/datemi un matrimonio/datemi stelle e cavallo/datemi canzoni/datemi pace!”.

Hai Zi è lo pseudonimo da lui scelto nel 1984, che nella lingua mongola significa lago. Nato nel villaggio di Chaway da una famiglia povera, si è meritato l’appellativo di bambino prodigio per la sua straordinaria capacità di memorizzazione, tanto che viene ammesso nel 1979 alla prestigiosa Peking Univerity, fatto assai raro in Cina per gente di umili origini, che lui non rinnega mai: “bella la povertà che la porta vecchia e rotta/di casa tua nasconde/il vento sferza la steppa/ossa di cavalli inverdiscono”.

Insegna presto Filosofia in una località isolata e le poesie che inizia a scrivere fin dal 1982 sono conosciute solo da una stretta cerchia di amici. La silloge Un uomo felice raccoglie poesie che vanno dal 1983 al 1989. La poesia è stata una dei suoi punti di forza più grandi: “ho tre tormenti: vagabondare, amare, stare al mondo/Ho tre felicità: la poesia, il trono, il sole”(28 Febbraio 1988, di notte).Versi che sottolineano ancora una volta il suo oscillare tra l’amore ardente per vita ed un altro richiamo sempre presente: “in Primavera, Hai Zi selvaggio e dolente/rimane questo solo e ultimo/figlio della notte, immerso nell’inverno, ad ammirare la morte/e si aggrappa forte al suo campo, vuoto e freddo,/senza poterne uscire”.

Divenuto eroe martire della poesia, Hai Zi ora è studiato nelle scuole e considerato una delle più grandi espressioni della poesia cinese. E’ stato scritto che il suo suicidio viene considerato, oggi, un evento di estrema importanza nella letteratura cinese moderna, rappresentando quasi un “sacrificio della civiltà rurale” nei confronti di una Cina sempre più materialistica e grigia. Lui respira ancora le rovine della rivoluzione culturale, dopo la morte di Mao del 1976, ancora nella “agonia di quella lunga decade”, della lunga notte lasciata alle spalle.

Una vita breve eppure così intensa, che sembra già contenere l’esistenza intera. In parallelo con il suo canto per la vita, questo suo anelito alla morte potrebbe rimandare a Jacopo Ortis foscoliano, in realtà è un reale stato esistenziale che si fa sempre più evidente quanto più si procede nella lettura e nel suo tempo di vita: “in questo momento volano/pietre ai miei fianchi/pietre da cui sgorga sangue/pietre da cui nascono sette sorelle/in piedi su di una steppa abbandonata”.

I versi di Hai Zi si nutrono di sole, di mare, di terra, di stelle, di nuvole, di vento, di sorgo, di segale e di grano, di alberi in fiore, di montagne, di uccelli, di greggi, di braci, di erbe: “E canto canzoni di nuvole/Lo so, alla fine sarò felice/e mi unirò in paradiso con tutti/gli uomini puri e santi”.

Ma anche di ossa, di teschi di cavallo, di steppe, di solitudine, di sofferenza: “La solitudine è un cesto di pesci/è l’acqua di sorgente nel cesto/immerso nella sorgente”.

La felicità è di pochi momenti, magari arriva dopo una sbronza, quando il pensiero si fa leggero. O si aspetta per il giorno a venire, come una certezza: “Da domani, sarò un uomo felice/nutrirò cavalli, spaccherò legna, girerò il mondo/da domani, penserò al grano e alla verdura/ho una casa, davanti al mare, sboccia la primavera/Da domani, scriverò a ogni parente/dirò loro quanto sono felice/la felicità a me raccontata dal fulmine/io la dirò a ogni uomo”. Ma scrive anche: “Chiedo arrivi la pioggia/chiedo/di morire nella notte/Chiedo che al mattino/t’imbatta per caso/nell’uomo che mi ha sepolto”.

C’è un legame inscindibile con gli avi nei versi di Hai Zi: “e io come i miei avi/sono un pozzo scavato ai posteri/tutta la tristezza attinge alla mia acqua profonda e misteriosa”. E amore a profusione per la madre, radice di vita e ritorno ad ogni sicurezza: “Mamma ancora siede sullo sgabello di casa pensando a me/come se quello sgabello fosse il mio tetto coperto di neve”. E ancora: “e mia madre è come una porta, mi apre fragile”.

Si evoca la donna amata senza alcuna connotazione materiale, pur in una continua oscillazione di certezze: “Ragazza che amo/ragazza di fiume/i capelli si son fatti foglie/le braccia si son fatte tronchi/Se non puoi essere mia moglie/diventerai certo la mia corona/che porterò come i grandi poeti del mondo/e attorciglierò le tue belle foglie sulla mia arpa e faretra”. E una incessante ricerca di bellezza è percepita dovunque: “Piume bagnate/sollevano il tuo foulard rosso/e tutto per la bellezza”.

Se lo pseudonimo significa lago, qualche ragione deve pur esserci in questa scelta. L’acqua infatti è un elemento che ritorna nei versi di Hai Zi, acqua di fiume che scorre come la vita: “Potevamo sentire sulla pianura i suoni dell’acqua e dei canti/questa è la nostra pianura, la nostra notte e il nostro canto”. E lui stesso sembra divenuto elemento fluido dell’universo: “Nel mormorare della corrente/la sorgente d’Agosto/ha superato i monti/pantera rossa è la luna/pantera verde è il bosco/pantera è la ragazza/che voi due avete partorito”.

Ritornano molti simboli, il drago, la tigre, la pantera, che sono allo stesso tempo rimandi alla cultura ed alla tradizione, ma nei versi acquistano straordinaria potenza.

Negli anni – pochi in realtà- il pensiero sembra diventare sempre più frazionato, il verso evoca immagini che acquistano una straordinaria libertà, quasi a fissare ogni flash di quella vita che andava volgendo alla fine: “Tu siedi vicino siedi lontano/come branchi di pesci sulla scia del pescatore affiorano seni/come villaggi portoghesi affiorano seni/come la sferza del pastore affiorano seni”.

Continuando nella simbologia: “ancella di sinistra è la vita/ancella di destra è la morte/La madre che tende alla morte/abbracciando la tigre bianca attraversa il mare”. Quel fatidico giorno si sta avvicinando, si sta consumando rapido il tempo di vita: Il crepuscolo arriva oscuro/un gran vento raschia il cielo/il re dei venti inizia a danzare/a ferire gli alberi”. Sono versi del 4 Febbraio 1989.

 

 

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.