La musica è sfinita
Nel tempo inerte del lockdown, una delle sparizioni più illustri è stata quella della musica. Al di là di alcuni giochetti fatti online, di jam collaborative, di volenterosi sforzi, di One World: Togheter At Home, di musica si è parlato soprattutto per il caos dei concerti cancellati. Come è anche giusto che sia, visiti i drammatici problemi occupazionali che il fenomeno ha portato con se.
Tuttavia, la musica ha come rinunciato a raccontare lo stato delle cose, si è defilata in un girovagare circospetto ammiccante alla normalità. Non è entrata veramente in nessun dibattito, non è stata scienza e tanto meno fantascienza. Non è stata assente, ma latente: come sfiancata.
Nondimeno, qualche epifania si è verificata. Di quella di Bob Dylan già dicemmo su queste colonne. Registrata chissà quando, forse qualche anno fa, ha impressionato più che altro per la sua magnitudo pynchoniana, per il suo catalogare cose della cultura musicale come in una sorta di testamento post-pandemico di un mondo in estinzione. A ruota sono arrivati gli Stones, che hanno adattato al volo una casetta cui stavano lavorando prima. Living in a Ghost Town è la fotografia asettica e in gel virucida di una assenza di vita. Siam tutti fantasmi, e si stava molto meglio prima. Questi uomini che potrebbero essere per il bacillo vittime prelibate mettono in scena la solitudine. Canzone sentita centinaia di altre volte, che rintocca a morto sulle strade poi sinistramente ripopolate, quasi a far rimpiangere un dopo quel prima in cui teoricamente si stava meglio.
Si è aggiunto poi Giovanni Lindo Ferretti con una litania ortodossa molto più in presa diretta sulla realtà. Malaria parla di insanità varie, inneggia ai misteri gaudiosi e dolorosi, a tutte le cose che la scienza non può comprendere. Ritorna anche lui come Dylan ai cataloghi, questa volta non al modo di Pynchon ma alla CCCP, cataloghi di fatti distorti della contemporaneità.
È l’età terza della musica ad aver parlato più forte. I giovani si sono astenuti, forse perché convinti di poter avere più tempo, di poter durare di più. Che ne sarà della musica quando, o se, tutto sarà finito non è dato capirlo. Rimarremo forse con questo senso di stanchezza malarica che nessuna clorochina potrà alleviare, nei tristi tropici di un’arte in declino.