19 Dicembre 2024
Words

Il cibo e la pandemia

Come sono cambiate le abitudini alimentari degli italiani con la permanenza forzata, causata dalla pandemia? In modo radicale, come ci indicano alcuni studi. Ovvio che, all’inizio della residenza forzata, siano aumentati gli acquisti di conserve, surgelati (entrambi +37%), pasta, riso, farina, con consumi tutti triplicati rispetto al 2019. È cambiato anche lo stile complessivo di vita, inevitabilmente più sedentario; ed è diminuito del 55% (tutti questi dati sono di Doxa) il ricorso al pasto fuori casa e rapido, a favore di un cibo più sano, con verdure, frutta, cibi cotti con maggiore attenzione, farinacei.

Non posso vedere il fidanzato
Sul piano psicologico, il 73% degli intervistati del panel Doxa ritiene che il tempo passato forzatamente a casa non sia stato mai un semplice “spreco”, ma un’occasione per stare con la propria famiglia, e con un ritmo più lento e tranquillo rispetto al ciclo casa-viaggio al lavoro-lavoro e viceversa. Si ricordi che i lavoratori pendolari sono, in Italia, oltre cinque milioni al giorno. Le restrizioni che hanno pesato di più sono state, nell’ordine, il fatto di non poter vedere i propri cari esterni (53%) di non poter vedere gli amici e di dover annullare le attività sociali (52%), poi di non poter uscire nel week-end (36%) e di non poter fare sport o andare in palestra (33%). Ma anche di non poter fare shopping (28%) oltre a dover tenere in figli in casa (27%), e ancora non poter andare al cinema o al teatro (26%) e infine, in cauda venenum, non incontrarsi con la fidanzata/o (20%), oppure la convivenza forzata con i familiari (12%) e  il fastidio delle precauzioni nei mezzi pubblici (8%).
Interessante il basso livello della nostalgia per l’amata/o e la percentuale, non trascurabile, del fastidio verso i familiari. Non è quindi vero che le statistiche sono tra le bugie e le dannate bugie, o che esistono le statistiche vere e quelle “latine”, come le chiamò Churchill parlando con il suo amico, e futuro agente, Dino Grandi.

La cucina e gli alimenti
Il tempo passato in cucina è molto aumentato (17%) o comunque abbastanza aumentato (46%) e a cucinare sono le stesse persone per il 73% e solo nel 27%si mettono davanti ai fornelli degli assoluti beginners. Con prevedibili risultati.
Perché si cucina così tanto? Ovvio, per far passare il tempo, (al 29%) oppure per non pensare alle gravi preoccupazioni, come quelle che attenderanno un’Italia ormai sempre più irrilevante economicamente, e questo vale per il 12%. Che non è poco. Si fanno in casa (53%) anche cibi che solitamente si acquistavano pronti. Il 74% prepara pizze e focacce, il 66% prepara torte, il 50% si fa il pane in casa, il 33% arriva a fare anche i biscotti. Naturalmente, la pasta fresca ritrova sempre i suoi aficionados, che la producono in casa per il 28%, ma solo il 22% arriva a fare anche i dolci entro le mura domestiche.
Per quel che riguarda gli acquisti alimentari, l’ISMEA ci riferisce che le vendite al dettaglio di prodotti alimentari confezionati hanno continuato a crescere a doppia cifra (+18%) rispetto al medesimo periodo dell’anno scorso, e sono continuate a crescere, rispetto al primo mese dell’emergenza, del 3%. Qui, c’è da notare il grande boom del settore delivery, con addirittura un eccezionale +160%, segno che questa attitudine commerciale, così tipica della gig economy, della “economia dei lavoretti” tanto e tanto giustamente deprecata dalla pubblica opinione, è entrata davvero nelle abitudini dei consumatori.
C’è stata anche una qualche riscossa degli esercizi di prossimità, con un fatturato del +12%, i negozietti dietro l’angolo, e qui viene da ricordare una vecchia battuta di Giancarlo Pajetta, che “dietro un angolo c’è un altro angolo”. Quindi chi prevede sempre il gigantismo, l’arrivo degli storesempre più grandi e completi, non ha sempre ragione. La misura della distribuzione è quella ottimale rispetto ai mercati, non il mito folle della espansione indefinita.
I vini, poi, hanno segnato un ottimo +15% su base annua, dopo essere stati inizialmente bloccati dal lockdown. Segno di un mercato che subisce qualche sciocchezza pseudo-salutista diffusa da certi media, ma che torna, appena può, alla triade olio-vino-pasta che ha sempre caratterizzato, in ogni nostra tradizione regionale, il paradigma della migliore cucina italiana. Per il vino, chi ha utilizzato la filiera Horeca dei piccoli ristoratori-venditori si è visto bloccato, chi invece ha adottato la GDO (Grande Distribuzione Organizzata) si è salvato. Si prospetta, dopo la crisi da coronavirus, un ulteriore e ancora più accentuato verticismo della distribuzione.

Per la frutta e la verdura, permane il problema della organizzazione della manodopera per la raccolta. Alcune gelate ad aprile hanno creato qualche problema. Vedremo cosa accadrà ai prezzi della frutta estiva. Il vero problema qui è stata la chiusura di fatto del canale Horeca, ovvero della rete di distribuzione ai piccoli imprenditori della ristorazione. Il calo dei prezzi è evidente, sia per quel che riguarda la domanda, ovviamente, ma anche per le maggiori difficoltà di produzione dei formaggi e dell’ortofrutta, che è fortemente deperibile, e inoltre per i costi, rilevantissimi, di stoccaggio. Arriverà una crisi da abbattimento dei costi? È probabile.
Il consumo delle carni avicole, dopo una prima crisi, è nella norma, e questo ha generato anche una normalizzazione dei prezzi rispetto al periodo pre-Covid-19. Crollano i prodotti suinicoli e i prodotti suinicoli DOP. I ricavi degli allevatori lombardi di maiali sono calati del 25% con un simultaneo aumento dei costi di produzione, oltre al calo dei prezzi e alla diminuzione dei punti vendita e dell’assorbimento del canale della ristorazione.
L’olio EVO segna qualche rialzo per l’extravergine, ma oggi l’industria dell’imbottigliamento ha bisogno soprattutto di nuove forniture, ed è probabile che l’import di olio EVO sarà maggiore del solito, mettendo ulteriormente in crisi i nostri distretti olivicoli. Che sono ad alto costo medio di produzione, ad altissima qualità, ma hanno avuto molti problemi (la Puglia) e stanno spesso per essere esclusi, a causa di una cattiva politica di immagine e commerciale, dalle aree che contano.

Ditribuzione e Made in Italy
La provincializzazione è uno dei massimi pericoli, oggi, per il Made in Italy, soprattutto per quello alimentare. E la propaganda francese, tedesca, svizzera e di altri non demorde, forte anche di una prezzatura da GDO e di un’immagine salutista, virginale, snob, internazionale. Chi conosca i negozi specializzati di vini e formaggi francesi nelle nostre grandi città capisce di cosa parlo. Non abbiamo una “immagine”, abbiamo centomila ottimi marchi autonomi, che non fanno mai azioni comuni ben congegnate con le minime regole del marketing moderno.
Per i cereali, c’è un costante aumento dei listini sia per il grano tenero sia per quello duro. In calo il prezzo del mais, che è stabilmente collegato ai futures petroliferi.
C’è stato anche un boom dell’ecommerce alimentare con il +160% su base annua. Il segmento delle uova è quello che cresce di più nella vendita dei grandi distributori, con il +46% in volume; vini e spumanti crescono del 15% rispetto allo stesso periodo dell’anno passato: il latte UHT cresce del 19% per non parlare delle mozzarelle, la cui vendita è cresciuta del 49% nelle prime settimane di chiusura forzata, ma in contemporanea con la crisi del latte fresco, che è oggi al -7% delle vendite.
L’ortofrutta vede il successo universale di patate e carote, (rispettivamente +51% e 37%) poi ci sono le arance e le mele (43% e 42%) ma, in questo settore, si verificano gli aumenti di prezzo più rapidi e rilevanti. Per l’ortofrutta italiana, è in crescita la domanda della GDO italiana e, soprattutto, di quella della grande distribuzione svizzera, belga e tedesca.  Il che significa prezzi abbassati talvolta ben oltre i prezzi di produzione standard. Sono lontani i tempi in cui la tv elvetica diffondeva filmati sugli “spaghetti”, certo molto anomali, che si trovavano su alcune piante da fiore, e che venivano cucinati dai bravi ticinesi (qualcuno si ricordi Addio Lugano bella) come se fossero maccheroni napoletani. Si veda questo filmato della BBC https://www.youtube.com/watch?v=tVo_wkxH9dU.

Quindi la caduta rapida del canale Horeca della distribuzione tramite operatori della ristorazione è stato il primo elemento di crisi, poi la caduta delle esportazioni, dovuta alla sua chiusura in UE per l’emergenza coronavirus e poi le dissonanze commerciali della rete della Grande Distribuzione. È difficile che il settore alimentare italiano, tra queste situazioni critiche e con le conseguenti nuove abitudini nutrizionali, si possa difendere dalla penetrazione commerciale di prodotti di più bassa qualità che arrivano da fuori (basti pensare al mercato dell’EVO) e che possa reagire a un’offensiva commerciale che gioca solo sui bassi prezzi, che saranno necessari nella prossima, inevitabile, fase di crisi economica da post-coronavirus.