Crisi della Magistratura
La contabilità di Mani Pulite dimostra il suo fallimento: 4520 persone indagate a Milano, 3200 richieste di rinvio a giudizio, con 1320 atti trasmessi successivamente ad altre Autorità Giudiziarie. Delle 3200 persone giudicate a Milano, ci furono poi 620 condanne e patteggiamenti del Gip, 635 proscioglimenti del Gip, ma delle 1322 rinviate a giudizio, si ebbero 661 condanne e patteggiamenti del Gip e infine 476 assoluzioni, e pensare che nel 2003 c’erano ancora 117 casi pendenti.
In totale, su 4520 persone finite nelle mani del pool, e su 3200 rinviati a giudizio, le condanne sono state 1281 (965 per patteggiamento) e 1111 le assoluzioni e patteggiamenti.
Non dimentichiamo nemmeno i suicidi: 32 tra il 1992 e il 1994. Insomma, “Mani Pulite” fu un vero fallimento giudiziario e la rottura definitiva, lo verifichiamo ancor oggi, del sistema politico e decisionale italiano.
I casi sono due: si conferiscono esplicitamente i pieni poteri alla Magistratura, e allora il sistema democratico-rappresentativo viene annullato o sospeso; si pone la Magistratura, tutta, in condizioni di non nuocere.
Il Diritto è nato per lo stabilire i confini delle proprietà, le successioni, i matrimoni, e poche altre cose. Non giuridicizziamo politica estera e finanza (due argomenti di cui pochi giudici capiscono qualcosa). E non carichiamo la Magistratura di problemi per i quali non ha gli strumenti, se non sanzionatori, per decidere. Basta con la “gabbia d’acciaio” weberiana, tra burocrazie e diritti, che distrugge le società e le fa morire di asfissia. E nemmeno le rende migliori, peraltro.
Certo, la Costituzione che Gherardo Colombo (uno del pool milanese) va ancor oggi a spiegare nelle scuole, come se fosse il “Corano increato” e non invece una importante creazione umana, e quindi fallibile, stabilisce la piena autonomia della Magistratura.
“Titti” Parenti, il magistrato che a Milano indagava sulle “tangenti rosse”, oggi avvocatessa a Roma, ama ripetere che il 90% delle cause in dibattimento va registrato sotto il titolo di “causa (o lite) temeraria”. Che è classificata come un “comportamento illecito” e punita con la responsabilità in solido del legale, con una recente norma emanata dal governo Gentiloni Silverj.
Il punto politico è comunque un altro. Può esistere un Corpo dello Stato del tutto e completamente autonomo da un sistema di pesi e contrappesi che lo controlli? Per il CSM, c’è solo la sua Presidenza, peraltro solo formale, dello stesso Presidente della Repubblica. Pare troppo poco.
Quando i magistrati del CSM tentarono, in modo anche qui “temerario”, di porre in stato d’accusa Francesco Cossiga, per ben 29 “illeciti”, tutti rigorosamente a capocchia, e comunque ricadenti evidentemente nell’art.90 cost. sulla impunibilità del Presidente, il Presidente si ricordò di essere anche Capo Supremo delle Forze Armate, e minacciò di far circondare il Palazzo dei Marescialli da un battaglione di carabinieri carristi.
Fece benissimo. Erano gli anni di “mani pulite” e una ben orchestrata campagna di stampa fece intendere, a tutti o quasi gli italiani, che la corruzione era solo dei politici, mentre gli imprenditori, i sindacati, le Forze Armate, le banche, gli Enti locali, i consorzi agricoli, le fondazioni caritatevoli, le Università e tutto il resto erano pieni di persone oneste, mammolette o frati francescani. Era ovviamente una fesseria che ognuno può verificare essere completamente falsa.
Ma si rese possibile lo sfascio della Repubblica. Eppure nessuno pensava che una società moderna potesse vivere senza una classe politica. Così, siamo a oggi: peggio mi sento! Fatta piazza pulita dei politici e dei partiti ci siamo ritrovati con una massa di politicanti di terza scelta raccolti quasi a caso e ormai tra i peggiori d’Europa.
Rimane il concetto di base: o comandano i magistrati, o i rappresentanti del popolo. Che possono essere anche pessimi o immorali, come si narra nella Settima Lettera di Platone delle macchinazioni di Dione e Dionisio II a Siracusa ma, se è per questo, nemmeno il popolo è buono. E quindi elegge i suoi rappresentanti non perché buoni ed eticamente elevati, ma solo in quanto suoi rappresentanti. La sovranità appartiene al popolo, non ai buoni, ai migliori, ai morali, ai santi. Dovrebbe valere, oggi come sempre, il vecchio detto di Gaetano Salvemini: “un terzo dei parlamentari è il peggio della Nazione, un terzo è come la Nazione, un terzo è il meglio della Nazione”. Non ci sono i Re-Filosofi. E di questo se ne accorse anche Platone, a Siracusa.
Quindi, che fare? Far cessare l’autonomia assoluta e senza vincoli della Magistratura, e quindi porre mano a una delle poche riforme costituzionali davvero necessarie? O porre l’esercizio dell’attività inquirente e requirente sotto il controllo generale della Presidenza della Repubblica, che verifica la correttezza delle pratiche, la loro astratta legittimità e il normale lavoro dei magistrati? Oppure si pone questa funzione in capo al Presidente e al Capo del Governo?
Oppure, ancora, si stabilisce che i parlamentari e le altre Cariche del Governo e dello Stato, anche non parlamentari, siano immuni secondo la vecchia normativa. Ovvero, che occorra sempre, come oggi, l’autorizzazione a procedere della Camera o del Senato per il loro membro, ma che si ritorni all’ordinamento pre-riforma del 1993.
Una vera stupidaggine demagogica: basta un articolo malizioso, una denuncia da parte di un teste falso ma ben pagato (le anticamere dei Palazzi di Giustizia pullulano di falsi testimoni a pagamento), i vari nemici politici, e si interrompe carriera, vita, dignità di un uomo prima votato da molti, anche se alla fine del procedimento verrà dichiarato innocente. In questi casi sarebbe opportuno regolare meglio la notitia criminis, perché non può bastare un articolo di giornale, e nemmeno una mera denuncia magari “temeraria”. L’accusa dovrebbe essere solida, argomentata, fattuale, e forse bisognerebbe regolare meglio anche l’informativa della polizia giudiziaria. Altrimenti si arriva a fare come quel giudice torinese che ha bloccato per vari anni il Servizio segreto militare per la rendition di Abu Omar da parte degli agenti Usa. Che era regolata da un lecito trattato tra Italia e Stati Uniti, coperto ovviamente dal segreto di Stato, ma che il giudice voleva, attraverso la scusa della scoperta del reato (che non c’era), colpire il Servizio e renderlo inattivo. In carcere doveva andarci lui. Una cosa del genere non sarebbe accaduta in Francia, per esempio.
Per non parlare di Palamara, l’indimenticabile “faccia da tonno” (come lo definì Cossiga in tv) con tutte le sue recenti rivelazioni. Per non parlare nemmeno di quel tassista romano, ex-avvocato, che mi ha rivelato come al Tribunale di Roma esista un completo “tariffario” per le diverse cause, e che lui, schifato da quell’ambiente, abbia deciso di guidare i taxi per sua salute morale e mentale.