Recovery Fund: balletti e incompetenze
A maggio scorso Francia e Germania hanno elaborato una prima proposta per un Recovery Fund da 500 miliardi di euro (per il periodo 2021-2027) con la Commissione che presta denaro ai Paesi UE, a nome dell’Unione, e con una piena mutualizzazione del debito.
Il Quadro Finanziario dell’Unione (che va adottato all’unanimità da tutti i Paesi membri e comunque non è stato ancora votato) prevede un finanziamento complessivo per 1.279 miliardi a prezzi correnti, ovvero l’1,1% del Pil attuale dell’Unione. In questo conto ci sarebbe da risolvere anche la ormai annosa questione dei mancati finanziamenti della Gran Bretagna dolo la Brexit, che valgono 13 miliardi l’anno e che, sommati, valgono già oggi 91 miliardi. Vale a dire il 7% del Recovery Fund.
L’Italia da vari decenni è contribuente netta della UE. ovvero dà più soldi di quanti riesce a riceverne: tra il 2012 e il 2018 ha versato addirittura 34,7 miliardi in più rispetto a quanto ha ricevuto.
Il balletto Van der Leyen-Merkel
Successivamente alla proposta di recovery franco-tedesca, la Commissione UE (presieduta dalla Van der Leyen) ha aumentato il plafond del Recovery Fund da 500 a 750 miliardi, da ripartire in tre categorie di Paesi dell’Unione, a seconda del basso o alto debito pro capite oppure in rapporto a un alto reddito unitario. L’Italia, rientrando nella categoria 2, avrebbe ricevuto risorse per un totale di 153 miliardi, il 20,4% del totale del Recovery Fund, rispetto ai 96,3 miliardi di contributi nostri, con un saldo netto totale di 56,7 miliardi, il 3,2% del Pil italiano. Il vero prestito.
La ripartizione, tra finanziamenti e “doni” a fondo perduto, che è ancora in ballo, sarebbe stata per l’Italia, in quella fase, di 81,7 miliardi di grants e di 71,2 miliardi per i loans. Il saldo tra il contributo nazionale (96,3 miliardi) e le erogazioni a fondo perduto è dunque negativo per 14,4 miliardi.
Ma la cancelliera Angela Merkel ha già messo in frigorifero la linea della Van der Leyen: la dote per tutta l’UE rimane quella iniziale di 500 miliardi di euro, da reperire sui mercati, ma quasi tutti grants, mentre per i debiti bisognerà, obbligatoriamente, fare richiesta al MES, European Stability Mechanism.
Se noi facessimo richiesta del MES, al massimo potremmo avere un finanziamento di 73,2 miliardi, condizionati alla spesa sanitaria, e dovremmo essere contenti se ci calcoleranno il finanziamento con il Pil pre-Covid-19 e non con quello attuale. Sia chiaro poi che i paesi “frugali” sono quelli che (come iniziò a fare la Gran Bretagna negli anni ’80) ottengono rebates, “sconti” sulla quota dei pagamenti da fare alla UE, in rapporto allo 0,3% della loro IVA, che è una fonte istituzionale di finanziamento della UE. Iniziò Margaret Thatcher, gridando al resto della Commissione We want our money back! Visto che il Regno Unito faceva più importazioni degli altri e la Thatcher non voleva pagare un eccesso di IVA.
Quindi, la “linea” della Merkel è tornare ai 500 miliardi iniziali e far sì che il bilancio UE non sia mai gravato di prestiti da chiedere al mercato e stornare poi ai Paesi membri.
I prestiti concessi dal MES, in correlazione all’art.136 comma 2 del Trattato della UE, introdotto nel 2010, afferma che “la concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del Meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità”. Che è, in questo caso, ristretta alla spesa sanitaria ma dipende anche dal resto del bilancio dello Stato.
La UE tra il SURE (Support to Mitigate Unemployment Risks in an Emergency, cioè il Fondo per la Cassa Integrazione Europea, un prestito anch’esso), il programma della BCE di acquisti sul mercato secondario dei titoli del debito pubblico della UE (che vale oggi il 12% del nostro debito pubblico), il totale delle misure è di 540 miliardi, più il Recovery Fund, appunto. Dalla emergenza Covid-19, settore per settore dal turismo all’automotive al vino e al mobile, l’Italia ha perso da sola oltre 600 miliardi, con danni che si amplificheranno certamente in futuro. Quindi, anche con le migliori intenzioni europee, i finanziamenti non basteranno. E tutti i debiti indotti dai meccanismi UE – lo ripetiamo – saranno in capo ai singoli Stati. Senza nemmeno pensare al momento in cui la Commissione Europea stabilirà che, alla fine della pandemia, si potrà riattivare il Patto di Stabilità, e allora dovremo dire addio ai nostri titoli di debito pubblico, che rischieranno di diventare junk bonds. È vero che la BCE ha dichiarato di comprarli lo stesso, ma immagino i mercati…
Conte non convince gli altri premier europei
Anche la trattativa tra il nostro Primo Ministro Conte e Mark Rutte, il capo del governo olandese, è stata un palese insuccesso: il politico olandese ha perfino detto che dovremo riformare le pensioni, anche abolendo la famosa “Quota 100”, che comunque finirà l’anno prossimo, e che costa 5,2 miliardi, qualcosa in meno del previsto (ma, comunque, salgono i costi per tutte le pensioni).
Il nostro premier Conte avrebbe dovuto rispondergli che l’Olanda dovrebbe cessare di fare da paradiso fiscale per il resto della UE, portandoci via tra tutti (Lussemburgo, Olanda, Irlanda, Cipro, Malta, Ungheria) 6,5 miliardi di tasse l’anno. Ma non l’ha fatto. Su questo non ha detto nulla.
Certo, Conte era andato in giro tra Portogallo, Grecia, Spagna e Olanda soprattutto per convincerli a prendere i fondi del MES. Niente da fare. Sanchez, il premier spagnolo, ha affermato che “La Spagna ha un accesso adeguato al credito”, Rutte si è comportato come abbiamo detto. Il Portogallo ha detto che il MES non gli serve, avendolo peraltro già sperimentato.
Il premier Conte potrà metterci impegno e avere buona volontà, ma l’UE è un fenomeno tecnico-politico che si deve conoscere bene, per poterlo maneggiare. E questo governo non ha nessun membro che possa fruttare un esito positivo in UE per l’Italia.