26 Dicembre 2024
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Il Cobra è un serpente

Scrivere questo pezzo è stato stranamente difficile. Stranamente, perché di solito i pezzi balneari ci vengono bene. E lì giù a pensare al perché l’ispirazione non era quella giusta. Poi la lettura di un’intervista a Fabio Rovazzi, una delle popstar che più ha accusato il tempo del virus, ci ha improvvisamente aperto gli occhi su qualcosa che era abbastanza chiaro: è un’estate italiana decisamente strana, mai realmente “ingranata”, e per questo anche priva dei normali tormentoni canori (diceva, appunto ,Rovazzi: quest’estate non ho scritto nemmeno una canzone). Di nuovo emerge un concetto già enucleato su queste colonne, quello della musica “sfinita”, poco capace di reagire agli strali della pandemia.

Eppure di anni tristi l’Italia ne ha vissuti. Facciamo il gioco di tornare a otto lustri or sono. 1980, l’estate comincia con Ustica e va avanti con Bologna (poi per l’autunno ci sarà il terremoto dell’Irpinia). Il terrorismo lascia a terra uccise una quarantina di persone, tra cui Vittorio Bachelet, Walter Tobagi e Mario Amato, mentre la mafia atterra Piersanti Matterella. Anche se un virus misterioso non aveva fatto fuori oltre trentamila persone c’era poco da stare allegri: uscire di casa era comunque un problema. E cosa ascoltavano gli italiani il due di agosto, mentre una bomba polverizzava l’ala della stazione di Bologna? Il tormentone numero uno era Non so che darei di Alan Sorrenti, re delle estati tra i Settanta e gli Ottanta, che distanziava di due posizioni un altro mago dei refrain, Umberto Tozzi con Stella stai. In mezzo ai due Gianni Togni guardava il mondo da un oblò e si rifaceva leopardianamente alla Luna. Una gran coppia di autori, Popi Minellono e Toto Cutugno fresco vincitore di Sanremo avevano creato per Celentano l’ennesimo capolavoro, Il tempo se ne va. Siccome da poco avevamo visto Mennea rimontare Wells sul tartan di Mosca (recupera recupera recupera!) ci stava bene un Miguel Bosé che cantava Olympic Games. Per la trasgressione figuravano il Kobra di Rettore e i Rockets che non avevano ancora scoperto che tingersi tutti d’argento faceva male; per i più piccini l’Ape Maia di Katia Svizzero. Poi gli inossidabilissimi Pooh di Canterò per te. C’era gran varietà, e bisogna chiedersi il perché.

Il motivo, forse, risiede nel fatto che ci eravamo abituati moltissimo ad essere tristi. Una lunga preparazione, iniziata dopo la metà dei Sessanta con la congiuntura, covata nella contestazione ed esplosa nel grigiore luttuoso dei Settanta. Il tappo della tristezza stava per saltare, ancora un anno plumbeo (ma nell’estate 1981 avremmo ritrovato Gianni Togni, Celentano, Rettore e i Pooh insieme a nuovi ingressi come Lio e Nikka Costa) e poi ci saremmo lanciati in un lungo urlo insieme a Marco Tardelli sul prato del Bernabeu. La continuazione di quella corsa è ciò che siamo diventati oggi, nel male soprattutto. Perché il Cobra, purtroppo, è un serpente.