15 Novembre 2024
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Susy Zappa, La magia del faro, Edizioni Il Frangente, Verona 2020, pp. 206, 22 euro

Anche il viaggio, come il resto delle attività umane, ha visto un numero maggiore di uomini rispetto al numero delle donne. Tuttavia, in nessun altro ambito umano come nel viaggio, si trovano avventure pazze, enormi, rischiose, meravigliose fatte da donne come e più degli uomini. Voglio dire che in questo campo le donne hanno fatto davvero esperienze incredibili.

Non voglio dire che questo libro di Susy Zappa racconti una storia ai confini delle possibilità umane, anche se in verità ci vuole spesso più coraggio nel resistere in solitudine e in condizioni avverse per lunghissimo tempo che fare i 100 metri a tutta forza. La storia di questo libro è quella di una donna dei nostri giorni (l’autrice per dirla tutta) che incontra le vicende di un’altra donna del passato nel suo stesso luogo di vita e di passione: un faro piazzato a Finisterre, in Bretagna. È una storia un po’ vera e un po’ romanzata, che non significa “falsa”, ma significa “vera in un modo differente”.
Già pensare che la vecchia Agathe arrivi nel 1944 sul posto, piombandoci con un aereo che precipita e cade vicino al faro abbandonato che diventerà per il resto della sua esistenza la sua dimora è abbastanza avventuroso. Pensare poi che tutte le storie che si susseguono sulle identità di questo territorio, che è l’estremo occidente della Francia con quel nome (Finisterre) così suggestivo, sono storie che arrivano all’inquilina del faro come fosse soltanto lei la destinataria di tali memorie è ancora più appassionante.
Il libro è una storia compendio di storie, dove si racconta come con i fari di un tempo a volte i naufregeurs attiravano le navi verso un naufragio calcolato, che poteva essere sempre meglio di uno sconquasso contro scogli perigliosi.

Da questi racconti immaginati si giunge alla seconda parte del libro, cioè l’arrivo dell’autrice al faro dell’isola di Wrac’h, a nord di Brest, dove lei farà la guardiana per il suo periodo stabilito.
E qui, oltre a immaginarsi tutta la prima parte del libro, anche attraverso documenti del tempo, le questioni diventano immediatamente molto concrete: come si farà a svuotare il wc, se è incassato in quel modo tremendo, senza fognature esterne? Per dirne una. Così la storia diventa davvero viaggio, cioè tutto quel portato di fenomenologico che appassiona i lettori di narrativa di viaggio. I giorni dentro a un faro scompaiono nel giorno unico, in un tempo più vicino al ritmo naturale del giorno e della notte, del pranzo e della cena, delle pulizie settimanali, degli impegni per mantenere il faro. Tutto cambia, tutto si sposta dalla forma alla sostanza. E poi certe paure fisiologiche, del vento, della solitudine, della vita in cima a una punta che tiene a bada l’Oceano.

Così la magia del faro diventa la magia della lettura di questo prezioso libro che ci ricorda come le esperienze di viaggio meno canoniche sono quelle più apprezzabili e che si fissano nella memoria.