Il mese elettorale in corso…
“Il popolo ha parlato, ma ci vorrà un po’ per sapere che cosa ha detto”. Così disse Bill Clinton il giorno dopo le rutilanti elezioni presidenziali del 2000, quelle che forse serviranno da modello junior alle elezioni attualmente in corso, o forse no. In ogni caso, come prevedibile e previsto, Election Night durerà ben più di una notte, forse anche parecchi giorni in quegli Stati chiave in cui si devono contare centinaia di migliaia di schede arrivate per posta. E che potrebbero decidere la gara. E’ normale, è scritto nelle leggi statali che debba essere così. Si tratta solo di aspettare, di avere un po’ di pazienza.
Al presidente Donald Trump, che normale non è, non piace aspettare. Nel suo discorso di mezzanotte ha detto che considera l’intera faccenda “una frode” e anche, Dio non voglia, “un imbarazzo per il paese”. Ha detto che “vogliamo che non si continui a votare” (non si stava più votando, intendeva dire di smetterla di contare i voti già espressi per posta), ha detto “andremo alla Corte suprema” (il presidente non ha il potere di farlo). Ha detto “per ciò che mi riguarda, abbiamo già vinto”. E qui qualcosa di giusto c’è: per ciò che lo riguarda, può anche pensarla così. Ma non dovrebbe dirlo, in quanto Presidente (con la maiuscola), perché è come gettare benzina sul fuoco di uno scontro accesissimo che ha attraversato il paese. Ma tant’è.
In effetti le operazioni di voto sono state tranquille, ed eccezionali per partecipazione complessiva, praticamente un evento storico. Fra elettori in anticipo e per posta, ed elettori in presenza il giorno designato, si potrebbe arrivare a 160 milioni di elettori. Questa è ancora una valutazione, non un dato ufficiale, ma è stata calcolata da uno stimato analista e professore di queste cose alla University of Florida, Michael P. McDonald. E quindi vale la pena di prenderla sul serio. Si tratterebbe di un tasso di affluenza del 67% degli aventi diritto, una percentuale che non si vede nel paese da prima della Grande guerra. Più di un secolo fa, davvero, proprio all’inizio della lunga fase di smobilitazione dell’elettorato che ha attraversato il Novecento.
Gli americani sono tornati a votare, insomma, lo si era già visto alle elezioni di medio termine del 2018. Votare è cool.
La vivacità della partecipazione ha fatto i conti con una macchina elettorale che è un vecchio pasticcio inadeguato. Anzi cinquanta pasticci inadeguati diversi. Ciascuno Stato ha le sue tecnologie, i suoi modi e tempi, le sue regole aperte a interpretazioni e incertezze e quindi a continui conflitti politici e giudiziari. Si va spesso nei tribunali. E si cercano adeguamenti che finiscono per impasticciare ulteriormente il pasticcio. Il voto per posta, per dire, e anche l’early voting, sono nati per risolvere piccoli problemi personali. Di fronte alla scarsità di seggi e al loro affollamento, ancora prima del Covid-19, sono diventati pratica di massa. Con il Covid-19 sono esplosi costringendo l’intero sistema a lavorare in anticipo e poi ai tempi supplementari, in affanno.
Nel frattempo è scomparso il rito repubblicano e democratico del “giorno delle elezioni”. Non c’è più Election Day, semmai c’è Election Month.
La partecipazione grande e vivace è stata anche il prodotto di una contesa politica, sociale, razziale, culturale molto radicalizzata, il culmine di una polarizzazione partitica che monta da qualche decennio. Democratici e repubblicani hanno finito per vedersi non come concorrenti o avversari ma come nemici, in lotta, come suol dirsi, per l’anima del paese (che potrebbe anche avere il suo bello, battersi per degli ideali, no?). La presenza incendiaria di un personaggio come Trump non ha fatto che incendiare ancora di più le passioni. Qualche osservatore ha espresso il timore che nessuna delle due parti sia disposta a prendere “no” per una risposta, ad accettare la sconfitta. Esagera, ma il paese è davvero spaccato in due, anche spazialmente, basta guardare una mappa elettorale.
E questa spaccatura è comunque un serio problema per chiunque vinca e debba e voglia governare il paese. Certo, dipende anche da come lo si intenda, il governo del paese.