Israele allo sbando
Non importa qual è stata la goccia che lo ha fatto traboccare, ormai la stanchezza aveva preso il sopravvento ed era solo questione di tempo. Martedì 22 dicembre, a mezzanotte, è scaduto il tempo per approvare il bilancio, e la legge ha costretto il parlamento israeliano a sciogliersi e ad andare a nuove elezioni. Si voterà il 23 marzo prossimo, e tutti sanno che sarà la quarta volta in due anni.
Siamo alla commedia tragica, simile a quelle dell’Europa centro-orientale della prima metà del XX secolo che si possono incontrare nei libri dei fratelli Singer. Benny Gantz, l’ex generale pieno di gloria, per due anni ha guidato una coalizione di centro (Blue & White) che si opponeva con tutte le sue forze a Netanyahu, che in vent’anni di carriera politica ha raccolto la disistima – morale, prima di tutto – di tutti quelli che non lo votano, e che tenta di fuggire in tutti i modi da processi per frode e corruzione. Poi a marzo scorso – colpo di scena! Gantz si accorda con Netanyahu, l’accordo prevede la rotazione, dopo 18 mesi il primo diventa Primo Ministro al posto dell’altro. Blue & White si spacca in due, Gantz viene accusato di avere tradito, prima di tutto i cittadini israeliani che da tempo sono stanchi di Netanyahu e che gli avevano dato la fiducia per ben tre elezioni.
Dopo pochi mesi già si vedeva, che i due facevano fatica a stare insieme. Sette soli mesi, è durato questo governo. Netanyahu spera che i risultati portati a casa con Trump – gli accordi di pace con quattro Stati arabi, e all’ultimo tuffo si parla anche di un quinto, anche se non si ancora chi potrebbe essere – riescano a superare i disastri: il terzo lockdown, una forte recessione economica, le quarte elezioni, i processi da affrontare che sono sempre lì.
I sondaggi di questi mesi, e soprattutto di questi ultimi giorni, ci danno un quadro potenzialmente nuovo, anche se sempre più frammentato: due nuovi partiti di destra (‘Nuova Speranza’ del recentemente fuoriuscito dal Likud Gideon Sa’ar, anche lui con la promessa di non governare mai più con Netanyahu, e Yamina – ‘Destra’ – di Naftali Bennet) hanno già quasi i voti del Likud, che è in forte calo (25 seggi rispetto ai 35 che ha). Con questi voti – ma tutto può ovviamente cambiare nei prossimi tre lunghi mesi – Netanyahu potrebbe così essere accompagnato verso la conclusione della sua carriera politica.
Ma soprattutto, i sondaggi mostrano un altro fatto: la scomparsa definitiva della sinistra. È vero che le elezioni israeliane segnalavano questo processo ormai da tempo, e che i sondaggi non sono voti veri, ma stavolta pare che siamo davvero arrivati al capolinea. Se prendiamo i dati dell’ultimo sondaggio, non discorde dai tanti precedenti, a marzo avremo questa situazione: i partiti di destra – tutti assieme, compreso il Likud – avranno 84 seggi su 120; il centro – cioè quello che resta di Blue & White – ne avrà 19, mentre la coalizione araba 11. A rappresentare la sinistra, solo Meretz, che è accreditato di 6 seggi.
Israele negli ultimi anni è stato un laboratorio politico che ha riverberato i suoi segni anche da noi. Questo è un altro segnale. Preoccupante. Molto preoccupante.