Recovery. UE dice: Renzi fuoristrada
Per fare l’europeista credibile serve raziocinio e non arroganza, serve competenza e non avventurismo. Così Renzi, che vorrebbe essere il primo della classe della politica italiana, cade ancora e sempre per la sua superbia, per la sua supponenza, per la sua spocchia: ne ammazza più la vanità del virus…
L’europeista che pensava di essere al centro dell’agenda politica e di avere le più dettagliate e recenti informazioni sul Recovery Fund è stato smentito dal ministro Gualtieri e dall’UE stessa. Infatti, secondo l’Europa, l’impostazione del Recovery Plan italiano di matrice governatica non solo è adeguata, ma non dovrebbe neppure essere modificata, pena un rischio di innalzamento dei tassi di interesse sul prestito e un aumento del già insopportabile debito italiano. E non consiglierei a Italia Viva di andare a elezioni (che già sono messi male con la percentuale di persone disposti a votarli) con la nomea del partito che farà alzare il debito pubblico, per il protagonismo e la presunzione del suo “leader”.
Quindi: Renzi, stai sereno!
Vediamo in dettaglio le notizie sull’argomento.
Ci sarà prestissimo una nuova bozza del Recovery italiano, all’insegna del contrasto al debito pubblico. Dentro Italia Viva qualcuno avrebbe dovuto accorgersene…
Attorno alla quota di prestiti da utilizzare per progetti d’investimento nuovi — non per piani che l’Italia avrebbe sviluppato anche senza Next Generation Eu — si è aperta l’ultima linea di faglia fra Italia viva e il resto della maggioranza. Il punto della contesa è emerso per la prima volta in un articolo del Corriere della Sera il 7 dicembre scorso: per limitare il deficit e il debito in più nei prossimi anni, la parte dei prestiti europei nella dotazione italiana del Recovery fund — 127 miliardi su un totale di 208,6, con i restanti 82 miliardi sotto forma di trasferimenti di bilancio — non sarebbe stata spesa tutta in nuovi progetti supplementari. Questi ultimi, per l’esattezza, impegnano 40 miliardi, mentre il governo prevede di spendere gli altri 87 miliardi di prestiti europei da Next Generation Eu in progetti che pensava già di sviluppare comunque finanziandosi sui mercati internazionali. Un esempio su tutti: i piani per l’Alta velocità ferroviaria al Sud erano in preparazione da anni, ma lunedì compariranno nel Recovery plan italiano fra quelli da finanziare grazie ai prestiti da Bruxelles. Se Next Generation Eu non fosse mai nato, l’Alta velocità al Sud si sarebbe fatta semplicemente emettendo titoli di Stato.
In altri termini cambia il creditore (e l’Unione europea di fatto non chiede interessi, a differenza degli investitori privati) ma non il progetto, né l’ammontare sostanziale di deficit e debito necessari per realizzarlo.
Italia viva insiste invece su una proposta diversa: i 127 miliardi di prestiti europei di Next Generation Eu dovrebbero finanziare solo progetti nuovi, rispetto a quelli che il governo stava già sviluppando prima della pandemia. Secondo il partito di Matteo Renzi i progetti preesistenti vanno sostenuti con tasse o fondi raccolti a debito sui mercati, per riservare tutti i fondi di Bruxelles a investimenti supplementari. L’obiettivo dichiarato dall’ex premier è di aumentare al massimo la portata totale degli investimenti pubblici. Ma la bozza di Recovery plan in arrivo lunedì in questo non gli darà soddisfazione, anche perché quel testo è il punto di sbocco di un percorso a ostacoli già coperto in questi mesi da Roberto Gualtieri fra Roma e Bruxelles.
Nei primi giorni di settembre, il ministro dell’Economia aveva posto riservatamente alla Commissione Ue una domanda: i 127 miliardi di prestiti di Next Generation Eu all’Italia entrano nei saldi di finanza pubblica?
Non è un dettaglio da poco, perché spendere quei 127 miliardi significa aggiungere il 7,8% di debito dello Stato in proporzione al Prodotto lordo (Pil) di quest’anno. La risposta di Bruxelles si è fatta attendere per settimane, poi è arrivata: sì, quelle somme entrano nel deficit e nel debito perché — per la Commissione Ue — scomputarle non è lecito.
Non si tratta di un dettaglio contabile, ma di una questione politica di prima grandezza. Dal 2022 gradualmente le regole di bilancio europee dovrebbero tornare in vigore, di conseguenza la prossima legge di Bilancio dell’Italia è chiamata a segnare l’inizio di un nuovo ciclo di risanamento dei conti. Neanche l’impiego dei prestiti del Recovery fund può contraddire questo obiettivo.
Imboccare invece la strada proposta da Renzi — usando 127 miliardi di prestiti europei per progetti nuovi e non solo una quota di 40 miliardi — significa andare nella direzione opposta. Sul piano finanziario, può far salire il rapporto fra debito e Pil del 5,3% in più e lasciare il debito ancora al 155% del Pil alla fine del periodo di utilizzo del Recovery plan nel 2022. Sul piano politico, prendere quella direzione equivale a innescare nuove tensioni con Bruxelles: sarebbe un paradosso per un governo nato con l’obiettivo di superare le tensioni fra l’Italia e l’Unione europea.
Se il governo facesse pieno uso dei 127 miliardi di prestiti del Recovery fund per progetti supplementari, la Commissione chiederebbe infatti una stretta di bilancio su altre voci per compensare l’aumento di deficit. E dall’anno prossimo sfidare Bruxelles diventa meno raccomandabile, perché il sostegno di emergenza sul debito offerto dalla Banca centrale europea probabilmente si interromperà nel marzo del 2022. L’Italia ha un debito del 160% del Pil, un deficit di oltre il 10%, un reddito per abitante tornato ai livelli di ventiquattro anni fa e le restano quindici mesi per diventare credibile agli occhi dei creditori internazionali.
L’insieme di queste ragioni ha spinto Gualtieri a fare muro, a differenza di quanto lui stesso ha fatto in questi mesi di fronte alle richieste di bonus in deficit da parte dei partiti. Alle richieste di Renzi si potrà dare ascolto su altri temi, secondo il ministro, ma non sull’uso dei prestiti europei e sul debito che comportano. Del resto conteranno più la qualità e il rendimento dei progetti previsti che i volumi finanziari assoluti e anche in questo non mancano i grattacapi. In queste ultime settimane, la Commissione Ue ha fatto sapere che vuole vedere più investimenti e meno incentivi nel Recovery plan italiano; più progetti tecnologici e di infrastrutture che sgravi a pioggia per famiglie o imprese, destinati magari a favorire i benestanti come nel caso dei bonus al 110% sulle spese di ristrutturazione immobiliare.
Peccato che il Parlamento italiano, al solito assediato dai gruppi d’interesse e a caccia di consensi, spinga in direzione opposta. Anche su questo fronte lunedì la bozza di piano in arrivo dovrebbe segnare un punto per le richieste europee.
Ma la partita resta aperta più che mai.
[tratto anche da Corriere della Sera – di Federico Fubini]