15 Novembre 2024
Words

Residui del nucleare italiano

La stagione del nucleare in Italia è durata poco. Nel periodo compreso tra il 1959 e il 1980 lItalia mette in funzione 4 centrali (Caorso, Trino Vercellese, Latina e Garigliano) di dimensioni molto contenute. Ed apre due reattori sperimentali (Brasimone e Ispra sul Lago Maggiore). Il nucleare inciderà per il 10% del totale di energia consumato, poca cosa.

Il passaggio a una maggiore produzione avrebbe dovuto consistere nell’avvio della centrale di Montalto di Castro. Il referendum del novembre 1987, seguito al disastro di Chernobyl, spinse la quasi totalità degli italiani a dire “no grazie” all’atomo. Si decise così di fermare la costruzione dell’impianto e furono disattivate le centrali esistenti. Nel 2009 il Governo Berlusconi ci riprova, con un Piano per la progettazione di 8 impianti. Bocciato nel 2011 con un secondo referendum, pochi mesi dopo la catastrofe di Fukushima.

Uscire dal nucleare per l’Italia è stato facile e rapido. Si riconvertì il sito di Montalto, si fermarono i 4 reattori lasciandoli dove erano, con il loro carico radioattivo all’interno. Consenso politico immediato e pochi “costi” rinviati nel tempo, facilitarono la scelta. I costi economici dell’uscita furono messi nella bolletta elettrica, che ancora paghiamo. L’altro costo “ombra” fu il mancato smantellamento dei reattori e smaltimento delle scorie. Oggi finalmente e coraggiosamente il Governo, attraverso la Sogid, ha pubblicato la mappa dei siti idonei per la localizzazione del deposito nazionale. 67 aree, di cui una dozzina ad “alta vocazione”, individuate secondo criteri definiti nel 2014 da Ispra. Al cui interno si dovrà individuare il sito del deposito unico nazionale. Una scelta che dovrà essere fatta seguendo criteri di razionalità e trasparenza, con il coinvolgimento di Comuni e Regioni enti locali e garantendo forme di consultazione e di partecipazione dei cittadini.

Dobbiamo smaltire circa 78.000 metri cubi di rifiuti radioattivi, fatti di combustibile delle vecchie centrali non ancora processato e di rifiuti provenienti dal decomissioning. Poi ci sono i 28mila metri cubi di rifiuti dei settori della ricerca, della medicina nucleare e dell’industria. Il deposito nazionale non accoglierà le scorie con radioattività più alta, per le quali si attende una decisione comune europea. L’obiettivo è quello di “decontaminare” i 20 depositi locali esistenti sparsi in tutta Italia. Un lavoro di bonifica di molti territori, che rappresenta il vero beneficio dell’operazione.

Una scelta obbligata e responsabile. Con il deposito nazionale si potrà concludere definitivamente l’uscita dal nucleare. Un Paese serio non si limita a spegnere le centrali, lasciandole lì ed esponendo cittadini e i territori a rischi. Un Paese serio chiude il nucleare ma nello stesso tempo si organizza per smantellare tutti i depositi ed i siti che espongono i cittadini a pericoli. Con la speranza di un cammino senza grovigli e rimandi interminabili, la priorità è mettere in sicurezza il territorio.

[tratto da Il Messaggero Veneto – di Alfredo De Girolamo – @degirolamoa]