21 Novembre 2024
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Recovery insufficiente per l’ambiente

Col 1° gennaio è partito il conto alla rovescia per la presentazione alla Commissione europea del Piano nazionale ripresa e resilienza (PNRR), prevista al 30 aprile 2021. In questi giorni il Governo italiano è impegnato su due fronti.
Da un lato il dialogo informale con gli uffici di Bruxelles per una costruzione “condivisa” del testo da presentare ufficialmente ad aprile (per adesso positivo secondo le affermazioni di Ursula Von der Layen).
Dall’altro l’aspro confronto interno alla maggioranza sui contenuti della bozza di PNRR, diffusa dal Presidente del Consiglio; una discussione di merito sulle priorità e il disegno complessivo del Piano, sull’idea di Paese che ci si immagina. Il rischio di un cortocircuito (specie in caso di crisi di governo) è alto, e non rispettare la scadenza del 30 aprile per l’Italia sarebbe un disastro difficilmente spiegabile.
Per questo il Presidente Mattarella ha chiesto di mettere in sicurezza l’approvazione del Recovery Fund, prima di ogni crisi di governo.
L’Italia, infatti, è il principale beneficiario delle risorse di Next Generation Ue (NGUE), circa 200 miliardi su un totale di 750. Una parte importante di questi fondi, circa 90 miliardi, saranno a fondo perduto e quindi potranno finanziare investimenti addizionali rispetto ai progetti previsti e programmati. Altri 110 miliardi saranno prestiti garantiti dalla Ue a tassi di interessi migliori di quelli che l’Italia con il suo rating nazionale riesce a spuntare sui mercati finanziari internazionali.

Il vantaggio per l’Italia nell’uso dei prestiti NGEU consiste non solo nel risparmio in spese d’interesse, ma soprattutto nella possibilità di realizzare investimenti previsti in tempi più rapidi, grazie al pacchetto di riforme e semplificazione che farà integralmente parte del PNRR. Quindi è importante scegliere bene i progetti, garantendo la coerenza con le raccomandazioni europee e al tempo stesso la realizzazione degli investimenti in tempi certi e rapidi: impegno entro il 2023, conclusione lavori entro il 2026.
L’Istituto di ricerche REF, nel suo ultimo paper, intitolato “PNRR, la ripresa passa per l’acqua e i rifiuti” avanza con argomenti solidi la proposta di mettere al centro del PNRR i settori dell’acqua e dei rifiuti. Vediamo perché.

Primo
La gestione dei rifiuti urbani e il servizio idrico integrato sono due settori chiave nella strategia di transizione ecologica, che la Ue ha posto al centro di Next Generation UE. Economia circolare, sostenibilità ambientale, uso efficiente delle risorse e dell’energia, recupero energetico sono la sostanza (non aspetti collaterali come in altri mercati) delle attività delle imprese di gestione di questi settori. La coerenza con le raccomandazioni europee è garantita.

Secondo
L’Italia presenta un forte ritardo nella infrastrutturazione primaria di questi due settori. L’uso delle risorse del PNRR può quindi servire a recuperare in tempi rapidi il gap esistente fra dotazione impiantistica e fabbisogno. Gli investimenti green che possono essere finanziati sono quindi investimenti produttivi: miglioreranno l’ambiente, ma renderanno anche più competitivo il sistema Paese, uscendo da un ritardo industriale cronico.

Terzo
Si tratta di due settori regolati, in cui agisce un’unica Autorità di regolazione (ARERA) che si è già positivamente espressa sul PNRR, candidandosi a vagliare i progetti di investimento desiderabili. Un ruolo positivo e attivo di ARERA può rappresentare un elemento chiave nel garantire la realizzazione nei tempi previsti degli investimenti. Al tempo stesso in questi due settori operano aziende pubbliche e private solide e capaci di gestire un pacchetto d’investimenti complesso, consistente e rapido. Sono attori che garantiscono efficacia, elemento da non trascurare.

Quarto
Le aziende di gestione dei rifiuti e dell’acqua sono già oggi fra i principali beneficiari dei fondi d’investimento della BEI, per centinaia di miliardi. Inoltre, REF segnala che gli interventi su rifiuti e acqua rappresentano la seconda e terza priorità nelle preoccupazioni degli italiani, dando retta a una specifica indagine svolta nei mesi scorsi, per cui i temi green immediatamente dopo l’emergenza sanitaria.

Come far funzionare l’economica circolare
Il Centro di Ricerca suggerisce anche quali riforme sono necessarie per accompagnare il piano d’investimenti. Prima di tutto meccanismi di semplificazione delle procedure di pianificazione, localizzazione, autorizzazione e cantierizzazione degli investimenti in impianti, spesso oggetto di conflitto NINBY (non nel mio orticello) o NIMTO (non durante il mio mandato elettorale). Bisogna poi accompagnare gli investimenti con un pacchetto di misure che perfezionino gli strumenti economici capaci di “far funzionare” l’economia circolare e il riciclo: incentivi al recupero di materia e non solo per l’energia, tasse ambientali efficaci, una responsabilità estesa del produttore più adeguata alle nuove sfide, certificati blu per il risparmio di acqua.

Il Piano è insufficiente
La bozza di PNRR che sta circolando recepisce queste indicazioni? Non molto secondo REF. La versione ultima delle tabelle registra prima di tutto una contrazione delle risorse per il capitolo transizione ecologica, che passano rispetto alla bozza della settimana precedente, da 74,3 a 68,9 miliardi, con una sottrazione di 5,4 miliardi. Non poco considerando che la Ue auspica per la sfida verde una spesa almeno del 75% del totale delle risorse disponibili. A quanto pare il negoziato interno alla maggioranza ha spinto verso uno spostamento di risorse dall’ambiente alla sanità e alla scuola.

Nel dettaglio poi le previsioni di spesa non sembrano cogliere i punti centrali dei ritardi italiani: per gli impianti di gestione dei rifiuti si stanziano 1,5 miliardi, per nuovi impianti e adeguamento di quelli esistenti specie nelle zone critiche del centro-sud. Altri 2,2 miliardi andranno a “progetti a bando” per l’economia circolare e la sua industria (non più pare ai gruppi della chimica per le bioraffinerie). Tutti gli analisti di settore stimano il fabbisogno di investimenti in questo settore fra i 10 e i 15 miliardi, la proposta di PNRR è quindi una goccia nel mare, non sembra uno strumento di soluzione strutturale dei ritardi.

Per acquedotto e depurazione ci si limita a uno stanziamento di 3,86 miliardi, per infrastrutture primarie di approvvigionamento, reti di distribuzione, fognature e depurazione. Anche in questo caso una cifra insufficiente, considerato che ARERA aveva indicato un fabbisogno minimo di spesa di almeno 10 miliardi.
I due servizi “green” sommano una previsione di spesa nella bozza di PNRR poco superiore 5 miliardi su un totale di circa 200…
Davvero poco, considerando che sembrano essere spariti gli incentivi al biometano e non c’è traccia di strumenti economici di sostegno al mercato del riciclo.
Lapidaria la conclusione dello studio REF: “la bozza del PNRR italiano non lascia emergere quel disegno strategico auspicato”. Difficile dargli torto.