15 Novembre 2024
Voice of Jerusalem

Elezioni in Israele e Palestina

Alcuni giorni fa è girato un aforisma succoso che più o meno diceva così: «tra l’assalto a Capitol Hill, una pandemia mondiale in corso e l’impeachment di Trump abbiamo già scritto un libro di storia, e siamo solo ai primi giorni del 2021. Che anno meraviglioso ci aspetta!» Ed è vero anche nella terra da dove (virtualmente) scrivo. Riassumiamo alcuni eventi.

In Israele sono stati raggiunti i due milioni di vaccinati, 150 mila hanno già ricevuto la seconda dose, e adesso inizia la campagna di vaccinazione per gli ‘over 45’. Su nove milioni di abitanti, quasi il 25% della popolazione. Un record mondiale.

Intanto Benyamin Netanyahu sta facendo progressi nel suo tentativo di ricevere l’immunità dalla Knesset (il parlamento israeliano) per salvarsi dai processi per corruzione e frode contro di lui e la sua famiglia. La sua ultima mossa è in due fasi: la prima è di riuscire a modificare le accuse contro di lui – al tribunale distrettuale di Gerusalemme i suoi avvocati stanno stilando una lunga lista di argomenti – la seconda è nominare come consulente legale della Knesset qualcuno che sosterrà che la modifica dell’accusa sia una giustificazione affinché si possa riesaminare la sua richiesta di immunità. Ma il piano principale di Netanyahu è riuscire a far perdere tempo al Tribunale sino alle elezioni del 23 marzo, e che queste gli possano dare i voti di almeno 61 parlamentari – la Knesset è composta da 120 parlamentari – che possano approvare una legge che ritardi il processo fino al termine del suo mandato. Ed ecco la scommessa del suo futuro politico proprio sul record vaccinale, che al momento sembra gli stia dando ragione visto che il Likud, il suo partito, sta risalendo nei sondaggi.

In vista delle elezioni del prossimo 23 marzo, continua la scomposizione di partiti e coalizioni. Appaiono come funghi nuovi partiti senza speranza – 9 partiti su 18 sono dati tra lo 0,4 e il 2,6%, quando la soglia di ingresso è al 3,75% – vecchi e nuovi partiti di centro stanno collassando – il partito di Gantz sta lentamente scendendo alla soglia d’esistenza, l’altro pezzo rimanente della coalizione Blue & White si sta ancora dividendo, il Sindaco di Tel Aviv Ron Huldai sembra non andare poco più oltre del 5%. Stando ad oggi, non sembra probabile che le quarte elezioni in quasi due anni potranno dare un governo stabile al paese.

Ma la notizia vera della settimana riguarda le elezioni in Palestina. Il Presidente Mahmud Abbas ha firmato il decreto fissando la data per le prime elezioni dell’Autorità Palestinese dal 2006: il 22 maggio si voterà per il parlamento e il 31 luglio per il Presidente. Si voterà sia in Cisgiordania che a Gaza, mentre non è ancora chiaro se Israele permetterà il voto anche agli abitanti di Gerusalemme est, anche se in passato è avvenuto. Una digressione: il voto degli abitanti di Gerusalemme fu un caso mondiale; ogni cittadino al mondo ha il diritto di voto e, considerando che Israele non consente loro di votare per la Knesset, non poteva certo negare di votare per il Presidente palestinese. L’accordo finale fu bizzarro: fu consentito il voto per posta, tramite l’invio dall’ufficio postale di Gerusalemme est di una lettera contenente la scheda elettorale all’Ufficio elettorale a Ramallah.

Le elezioni sono un fatto notevole in Palestina: il Parlamento è in carica dalle elezioni del 2006, mentre Mahmud Abbas fu eletto Presidente l’anno precedente e avrebbe dovuto rimanere in carica fino al 2009. È inutile stare a elencare i motivi per cui non si è votato prima, il fatto vero è che, anche senza volerlo consapevolmente, la nomenklatura (sia di Fatah, il partito prima di Arafat e ora di Mahmud Abbas, sia di Hamas) è incapace di impedire a Israele di portare avanti l’acquisizione di territori e di colonizzarli. E quindi cerca preservare lo status quo. Il parlamento è poi un caso: anzitutto Fatah rifiutò di accettare il voto che aveva dato a Hamas la maggioranza (i parlamentari di Gaza continuano a riunirsi e ad approvare una quasi-legislazione); poi, poco dopo essere stato eletto, i suoi lavori furono sospesi a causa del fatto che Israele arrestò molti parlamentari.

Nessun dubbio, la gente vuole elezioni, e soprattutto la riconciliazione tra Fatah e Hamas. Nelle mani dei palestinesi, la ‘riconciliazione’ è una spada – molto di cartone, invero – da agitare di volta in volta contro Israele.

Ma oggi è difficile impressionare gli israeliani con stagnanti sviluppi. Ci vuole un grosso colpo d’ala, che ancora oggi non si vede. Intanto Israele, per precauzione, arresta qualche leader di Hamas. Quando si parla di ‘riconciliazione’, è sempre bene farlo. Per mantenere la distrazione.