15 Novembre 2024
Sun

Giuseppina Biondo, La contadina, Puntoeacapo Editrice 2020, pag. 74, € 12,00, prefazione di Giuseppe Conte.  

“A chi semina, a chi raccoglie,/ a voi e alle mie metamorfosi”: la dedica contiene la sintesi del pensiero ed oso dire della personalità di Giuseppina Biondo, giovane poetessa siciliana. Colpiscono il suo linguaggio, la freschezza e la forza delle immagini,   il frequente rimando alle  metamorfosi: “Divenni albero all’improvviso / e si compì la mia metamorfosi”, metamorfosi  intese  in senso di accrescimento, di ampliamento del sé fino ad accogliere istanze universali: “e non mi domanderò dell’alba e delle stagioni,/ perché sarò il loro inizio e il loro cambiamento”.

E’ come se lei costruisse pezzo per pezzo in maniera simbolica  questa visone omnicomprensiva, divenuta davvero contadina paziente e laboriosa che prepara il raccolto: “Contadina anche sono del mio tempo,/ per il mio seminato,/ femmina per metà e per l’altra/ veloce mezzo di sogni”.

Ecco, sì, mi rimane l’impressione che la Biondo sia partita da un seme d’amore e sia giunta al raccolto, con una chiara visione delle urgenze e dei bisogni del tempo in cui vive: “Eppure siamo esseri indifferenti,/ che lasciamo che tutto accada,/ che chiunque uccida il prossimo,/ che chiunque commetta femminicidio,/ che chiunque commetta infanticidio,/ che chiunque rimanga indifferente;/ permettiamo che chiunque muoia nel Mar Mediterraneo,/ che chiunque venga deportato nello Stato da cui è fuggito;/ lasciamo che bambine subiscano mutilazioni genitali,/ che bambine e bambini vengano rapiti, sfruttati, seviziati”.

Si legge una  presa di coscienza di sé e dell’altro  ormai pienamente acquisita: “adesso puoi dire dell’universalità dell’essere, /io posso dire dell’universalità dell’uomo e della donna”, in un percorso che la vede confondersi, mixarsi alla Terra, alle creature viventi ed alle loro voci: “Sento i rumori distanti,/ ancora le cicale, e le voci /di bambini sulla sabbia./ Una stagione nuova alle porte”. Entrano, con la leggerezza di versi brevi,  colori, profumi: “autunno aperto / vendemmia in un luogo,/ qui un cervo verde”. E immagini familiari: “spiaggia rossa/ metropoli d’inverno:/ il quadro è venduto”.

Un procedere per accumulo che il lettore non si aspetterebbe dopo avere incontrato le poesie d’amore che aprono la raccolta: “Penso che tu sia aria di mare./ Ma l’amore non è vincere e non è respirare,/ è perdere e rimanere senza respiro./ L’amore è caso e sale:/ l’ossigeno che capita”. Un amore che passa dallo sguardo – gli occhi ti tratterranno- ,   da occhi che inchiodano l’immaginazione: «E quegli occhi? Di chi sono?”

Una amore bisbigliato all’orecchio, forte, assoluto, che chiede libertà da vincoli temporali, vuole solo essere riconosciuto e vissuto: “Promettimi che sarà solo per un po’,/ che staremo insieme solo per un po’”.  Se amore è perdersi con umiltà, affidarsi alle mani ed al cuore dell’altro: “chi amo mi ha” , tuttavia questa condizione del perdersi può trasformarsi in sofferenza fino a scatenare reazioni crudeli: “ti avevo detto solo per un po’./ Non potevi saperlo, che divengo spietata, /se non desidero”.

Il diritto alla propria libertà è fissato con la musica e la melodia del suo dialetto: «Si la picciridda ‘un si voli maritari, lassala stari. /‘U matrimonio ‘unn è chiù/ la chiù bedda distrazioni di stu munnu”.

La libertà è indispensabile  nel rapporto d’amore perché altrimenti ci si perde: “ Vuoi libertà? Più di quella che ti occorre,/ sono in grado di darti tutta la libertà che vuoi”. Perché nella libertà si acquista leggerezza: “Quel tutto che ero /– che volevo fare,/ adesso libera/ l’osservo”. E si possono accettare con gioia le metamorfosi: “Leggerezza,/ il mare mi ha reso di nuovo chiara”. E trasformarsi in quella contadina che sa attendere: “equi-/librata da slancio e necessità/ per il giusto salto nel vuoto,/ inseguita da una pantera”.

Non sono semplici i passaggi, l’amore è comunque la risposta ad un incanto che chiede quel salto nell’ignoto e la cura: “È un gettarsi nel buio il cercarsi./ Ma è all’alba il lavoro dei campi”. Ardere implica il timore/desiderio di un oblio, di una scomparsa al sé molto lunga: ”Oh Fenice, ma per rinascere dalle ceneri /quanto ci si mette? Si è più forti quando si è subito rinati/ o dopo? Quando si è per tornare di nuovo cenere?”

Per fortuna il lavoro è salvifico, e per la Biondo è quello di chi lavora sul verso come la contadina sulla propria terra, allora ogni sofferenza ed ogni com-passione umana si stemperano nella parola poetica, quella che sa cogliere anche  la musica del silenzio intorno a noi: “La metrica della neve/ avvolge di silenzio, rende difficile/ il passo, l’immagine, il verso;/ circonda di quiete il poeta”.

La Poesia porta il dono di leggere oltre le apparenze, di impossessarsi dei perché o almeno farsi domande, quelle che vogliono un’indagine e risposte. Tuttavia non c’è niente di certo, “la vita è senza preavviso”. Per questo la parola poetica diventa meta, forza, salvezza, ed insieme libertà: “ma io stavo all’in piedi contro/ la corrente di quel maestrale/ e dentro ero acqua in tempesta/ ero mare con propri venti /e proprie direzioni e proprie temperature –, l’unica certezza era quella,/ di fare poesia, di essere/ un essere che resiste, ero io, Poesia”. La Poesia, la letteratura, compensano assenze e vuoti, sono un miracoloso regalo: “perché l’idea di essere soli è insopportabile, /perché la letteratura è una grande distrazione”.

Tuttavia la distrazione può portare all’indifferenza, quella che allontana dagli uomini, allora bisogna rientrare, riprogrammarci – del resto l’amore, come tutto il male che facciamo è distrazione-: “ci siamo sempre distratti, ma adesso,/ adesso ci si sveglia e appare tutto più chiaro./ Deve essere andata così: /ci siamo sempre distratti, ma adesso,/ adesso ci si sveglia e il mondo si chiede/ chi è stato il primo uomo./ Quando si è distratta l’umanità la prima volta”.

Un volo di gabbiani insieme alle rondini attira  lo sguardo verso il cielo: “Ho appena visto gabbiani /e rondini volare nello/ stesso cielo./ Il resto mi lascia imperturbabile”. Questa indifferenza  tuttavia è un anelare a dimensioni spirituali, salvifiche, oltre i limiti della nostra esistenza materica: “il gesto gentile/perduto/A capo, la fede”.

Il mistero della vita che contiene l’amore, l’odio, le violenze di ogni genere, è profondo e insondabile, forse solo nel Cielo sta la risposta: “soprattutto quella giovane può saperlo,/ forse quella giovane donna che fissa il cielo,/ – sta fissando il mare e l’orizzonte,/ fissava il tramonto,/-forse quella giovane può saperlo”.
Il percorso poetico della Biondo, con i suoi  “versi meccanici”  non lascia indifferenti, è imprevedibile nel suo divenire, leggero e profondo, concreto ed evocativo, simbolico e narrativo, impetuoso e riflessivo insieme, specchio di una sensibilità acuta e di una capacità adulta di usare la parola.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.