Giuseppina Biondo, La contadina, Puntoeacapo Editrice 2020, pag. 74, € 12,00, prefazione di Giuseppe Conte.
“A chi semina, a chi raccoglie,/ a voi e alle mie metamorfosi”: la dedica contiene la sintesi del pensiero ed oso dire della personalità di Giuseppina Biondo, giovane poetessa siciliana. Colpiscono il suo linguaggio, la freschezza e la forza delle immagini, il frequente rimando alle metamorfosi: “Divenni albero all’improvviso / e si compì la mia metamorfosi”, metamorfosi intese in senso di accrescimento, di ampliamento del sé fino ad accogliere istanze universali: “e non mi domanderò dell’alba e delle stagioni,/ perché sarò il loro inizio e il loro cambiamento”.
E’ come se lei costruisse pezzo per pezzo in maniera simbolica questa visone omnicomprensiva, divenuta davvero contadina paziente e laboriosa che prepara il raccolto: “Contadina anche sono del mio tempo,/ per il mio seminato,/ femmina per metà e per l’altra/ veloce mezzo di sogni”.
Ecco, sì, mi rimane l’impressione che la Biondo sia partita da un seme d’amore e sia giunta al raccolto, con una chiara visione delle urgenze e dei bisogni del tempo in cui vive: “Eppure siamo esseri indifferenti,/ che lasciamo che tutto accada,/ che chiunque uccida il prossimo,/ che chiunque commetta femminicidio,/ che chiunque commetta infanticidio,/ che chiunque rimanga indifferente;/ permettiamo che chiunque muoia nel Mar Mediterraneo,/ che chiunque venga deportato nello Stato da cui è fuggito;/ lasciamo che bambine subiscano mutilazioni genitali,/ che bambine e bambini vengano rapiti, sfruttati, seviziati”.
Si legge una presa di coscienza di sé e dell’altro ormai pienamente acquisita: “adesso puoi dire dell’universalità dell’essere, /io posso dire dell’universalità dell’uomo e della donna”, in un percorso che la vede confondersi, mixarsi alla Terra, alle creature viventi ed alle loro voci: “Sento i rumori distanti,/ ancora le cicale, e le voci /di bambini sulla sabbia./ Una stagione nuova alle porte”. Entrano, con la leggerezza di versi brevi, colori, profumi: “autunno aperto / vendemmia in un luogo,/ qui un cervo verde”. E immagini familiari: “spiaggia rossa/ metropoli d’inverno:/ il quadro è venduto”.
Un procedere per accumulo che il lettore non si aspetterebbe dopo avere incontrato le poesie d’amore che aprono la raccolta: “Penso che tu sia aria di mare./ Ma l’amore non è vincere e non è respirare,/ è perdere e rimanere senza respiro./ L’amore è caso e sale:/ l’ossigeno che capita”. Un amore che passa dallo sguardo – gli occhi ti tratterranno- , da occhi che inchiodano l’immaginazione: «E quegli occhi? Di chi sono?”
Una amore bisbigliato all’orecchio, forte, assoluto, che chiede libertà da vincoli temporali, vuole solo essere riconosciuto e vissuto: “Promettimi che sarà solo per un po’,/ che staremo insieme solo per un po’”. Se amore è perdersi con umiltà, affidarsi alle mani ed al cuore dell’altro: “chi amo mi ha” , tuttavia questa condizione del perdersi può trasformarsi in sofferenza fino a scatenare reazioni crudeli: “ti avevo detto solo per un po’./ Non potevi saperlo, che divengo spietata, /se non desidero”.
Il diritto alla propria libertà è fissato con la musica e la melodia del suo dialetto: «Si la picciridda ‘un si voli maritari, lassala stari. /‘U matrimonio ‘unn è chiù/ la chiù bedda distrazioni di stu munnu”.
La libertà è indispensabile nel rapporto d’amore perché altrimenti ci si perde: “ Vuoi libertà? Più di quella che ti occorre,/ sono in grado di darti tutta la libertà che vuoi”. Perché nella libertà si acquista leggerezza: “Quel tutto che ero /– che volevo fare,/ adesso libera/ l’osservo”. E si possono accettare con gioia le metamorfosi: “Leggerezza,/ il mare mi ha reso di nuovo chiara”. E trasformarsi in quella contadina che sa attendere: “equi-/librata da slancio e necessità/ per il giusto salto nel vuoto,/ inseguita da una pantera”.
Non sono semplici i passaggi, l’amore è comunque la risposta ad un incanto che chiede quel salto nell’ignoto e la cura: “È un gettarsi nel buio il cercarsi./ Ma è all’alba il lavoro dei campi”. Ardere implica il timore/desiderio di un oblio, di una scomparsa al sé molto lunga: ”Oh Fenice, ma per rinascere dalle ceneri /quanto ci si mette? Si è più forti quando si è subito rinati/ o dopo? Quando si è per tornare di nuovo cenere?”
Per fortuna il lavoro è salvifico, e per la Biondo è quello di chi lavora sul verso come la contadina sulla propria terra, allora ogni sofferenza ed ogni com-passione umana si stemperano nella parola poetica, quella che sa cogliere anche la musica del silenzio intorno a noi: “La metrica della neve/ avvolge di silenzio, rende difficile/ il passo, l’immagine, il verso;/ circonda di quiete il poeta”.
La Poesia porta il dono di leggere oltre le apparenze, di impossessarsi dei perché o almeno farsi domande, quelle che vogliono un’indagine e risposte. Tuttavia non c’è niente di certo, “la vita è senza preavviso”. Per questo la parola poetica diventa meta, forza, salvezza, ed insieme libertà: “ma io stavo all’in piedi contro/ la corrente di quel maestrale/ e dentro ero acqua in tempesta/ ero mare con propri venti /e proprie direzioni e proprie temperature –, l’unica certezza era quella,/ di fare poesia, di essere/ un essere che resiste, ero io, Poesia”. La Poesia, la letteratura, compensano assenze e vuoti, sono un miracoloso regalo: “perché l’idea di essere soli è insopportabile, /perché la letteratura è una grande distrazione”.
Tuttavia la distrazione può portare all’indifferenza, quella che allontana dagli uomini, allora bisogna rientrare, riprogrammarci – del resto l’amore, come tutto il male che facciamo è distrazione-: “ci siamo sempre distratti, ma adesso,/ adesso ci si sveglia e appare tutto più chiaro./ Deve essere andata così: /ci siamo sempre distratti, ma adesso,/ adesso ci si sveglia e il mondo si chiede/ chi è stato il primo uomo./ Quando si è distratta l’umanità la prima volta”.
Un volo di gabbiani insieme alle rondini attira lo sguardo verso il cielo: “Ho appena visto gabbiani /e rondini volare nello/ stesso cielo./ Il resto mi lascia imperturbabile”. Questa indifferenza tuttavia è un anelare a dimensioni spirituali, salvifiche, oltre i limiti della nostra esistenza materica: “il gesto gentile/perduto/A capo, la fede”.
Il mistero della vita che contiene l’amore, l’odio, le violenze di ogni genere, è profondo e insondabile, forse solo nel Cielo sta la risposta: “soprattutto quella giovane può saperlo,/ forse quella giovane donna che fissa il cielo,/ – sta fissando il mare e l’orizzonte,/ fissava il tramonto,/-forse quella giovane può saperlo”.
Il percorso poetico della Biondo, con i suoi “versi meccanici” non lascia indifferenti, è imprevedibile nel suo divenire, leggero e profondo, concreto ed evocativo, simbolico e narrativo, impetuoso e riflessivo insieme, specchio di una sensibilità acuta e di una capacità adulta di usare la parola.