Draghi e il Recovery
La prima cosa che Draghi dovrà fare (anzi sta già facendo) è riscrivere il Recovery Fund. La bozza presentata da Conte al Parlamento era evidentemente debole e generica. Le linee di indirizzo europee erano chiare e la scadenza temporale è definita dall’Europa: il prossimo aprile va presentato alla Commissione.
Ma come deve essere riscritto il PNRR? Alcune idee e qualche augurio.
Serve ribaltare lo schema del Piano, nato sul lato “input” (le varie proposte dei Ministeri e Agenzie di spesa, malamente assemblate) e non sul lato “output”(i risultati attesi da realizzare in pochi anni). È molto probabile che il nuovo Governo quindi metterà al centro del Piano la sua “execution”. È augurabile che questo cambio di approccio consenta di selezionare poche linee strategiche di investimenti pubblici cantierabili: trasporti, banda larga, energia, servizi ambientali (acqua e rifiuti), sanità, edilizia pubblica residenziale e scolastica.
Su questo punto Draghi ha come naturali alleati industriali le utilities nazionali (Enel, Eni, Ferrovie dello Stato. Autostrade/ANAS) e quelle locali (le società quotate come Iren, A2a, Hera e Acea e le altre aziende locali). Aziende solide finanziariamente, capaci di progettare e gestire cantieri, quindi di gestire bene i Fondi europei.
Se questo è l’obiettivo più importante e urgente la prima infrastruttura da realizzare è di tipo immateriale: una riforma radicale del sistema delle autorizzazioni e degli appalti pubblici. Realizzare una mole enorme di investimenti pubblici importanti in pochi anni è possibile solo se si applica a tutta Italia e in tutti i settori lo “schema ponte Genova”: dichiarazione di pubblica utilità di tutti i progetti del recovery plan, corsie preferenziali per le autorizzazioni, codice degli appalti semplificato, contenimento dei contenziosi. E’ la principale riforma da abbinare al Piano e va descritta con cura. L’Europa presterà una grande attenzione alla realizzazione di questa riforma.
La seconda infrastruttura immateriale che il Recovey Fund può finanziare riguarda l’innovazione, l’educazione, la ricerca. Ovvero quelle basi strutturali che rendono competitivo un Paese. Un Paese che ha un basso tasso di spesa in innovazione e ricerca, con un sistema scolastico in crisi e provato dal Covid, un sistema della formazione professionale da rifare, ha una grande urgenza di innovare.
La rivoluzione verde e la transizione energetica non può essere solo fatta con il finanziamento (a fondo perduto o con prestiti) di infrastrutture, reti ed impianti. Servirà usare i Fondi europei per creare le condizioni di mercato che favoriscano la green economy: incentivi, disincentivi, strumenti economici, tasse ambientali. Accanto agli incentivi energetici (fonti rinnovabili, efficienza energetica, super ecobonus 110 %) potrebbe essere inserito un pacchetto di strumenti economici per sostenere l’economia circolare, il riciclo, il recupero energetico e la gestione efficiente dei rifiuti. Oggi non ce n’è traccia nella “bozza Conte” e l’incentivo al biometano è apparso nella prima bozza per poi sparire.
Resta il terzo pilastro degli indirizzi europei: l’inclusione sociale. Qui c’è molto da fare. Prima di tutto un gigantesco Piano Casa per risolvere i crescenti problemi di disagio abitativo, specie dopo il Covid19. Ma potrebbe essere l’occasione per far decollare in Italia un welfare moderno.
Insomma, c’è molto da fare. Auguri di buon lavoro a Mario Draghi.