Vaccini: Europa nel pallone
L’Unione Europea ha fallito la politica vaccinale. Che sia colpa delle aziende produttrici dei vaccini, o dei fornitori di contenitori, o dei distributori per aree geografiche, di fatto i contratti stipulati dalla Commissione europea con leaziende farmacologiche non sono efficaci. E le varie nazioni del Vecchio Continente hanno subìto una riduzione di forniture che mettono a serio rischio le varie campagne vaccinali. Quindi alcune nazioni sono partite in solitaria per autodeterminarsi su questo fronte.
È quindi in atto un rafforzamento delle politiche nazionali. Non tanto della politica dei partiti, che hanno le loro dinamiche, le loro difficoltà, i loro tempi, ma della politica intesa come capacità di indirizzo e di organizzazione su un territorio specifico. Una politica che si rivela essere quella dello Stato. È questo, infatti, che si propone come lo spazio politico determinante.
Sono le gravi difficoltà incontrate dalla Commissione di Bruxelles nel reperire i vaccini e nel far rispettare i contratti con Big Pharma a far sì che lo Stato sia sul punto di dover riprendere l’iniziativa. Dall’Austria alla Danimarca si profila la tendenza a fare da soli, sull’esempio di Stati non appartenenti alla Ue come il Regno Unito e Israele (solo per rimanere in ambiti non troppo remoti).
A livello interno, poi, per quanto riguarda l’Italia, la nuova linea è quella della uniformazione delle politiche, a opera dello Stato, e del superamento della tendenza delle regioni ad andare in ordine sparso. Permane, com’è ovvio, l’attenzione alle esigenze locali, ma l’obiettivo è chiaramente la maggiore efficienza nella somministrazione dei vaccini e nella centralizzazione del sistema informatico.
Il nuovo protagonismo dello Stato – di cui è simbolo il ruolo che le Forze Armate assumono, a livello logistico – nasce dall’esigenza di affrontare il doppio problema di reperire i vaccini e di utilizzarli secondo criteri ragionevoli. Un compito sempre più pressante, che fa emergere la missione originaria dello Stato: la salvezza delle vite dei cittadini; un compito che in questo momento potrebbe perfino essere prevalente su quello di garantire la ripresa economica e di favorire l’agognato ritorno alla normalità. Nell’emergenza la politica parla con la voce del suo principale soggetto moderno, appunto lo Stato. Che così ritorna ai propri “fondamentali”.
E proprio perché il mutamento del rapporto fra spazio e politica nasce da un mutamento della legittimità della politica – che torna a essere prima di tutto la garanzia della vita – il nuovo primato dello Stato non deve essere valutato ideologicamente: non si tratta di uno spostamento a destra dell’asse della politica ma del ritorno della politica, in un momento di necessità.
Piuttosto, senza pregiudizi anti-statali, è da osservare una serie di effetti della dimensione statuale nella politica; a livello internazionale la geopolitica sanitaria dei vaccini – lo sforzo occidentale di isolare il russo Sputnik e i vaccini cinesi – è sfidata dalla ritrovata autonomia degli Stati dell’Est europeo, che stanno guardando con interesse alla Russia e al suo ritrovato. Mentre ancora dall’Austria, e da altri Paesi, viene avanzata l’ipotesi di una produzione e di una somministrazione dei vaccini su basi e con criteri statali e nazionali, per aggirare quella che sembra la invincibile supremazia dell’industria privata sulle istanze politiche e la lentezza burocratica della Ue.
La controprova sta poi nel fatto che gli Usa hanno saldamente in pugno la propria produzione di vaccini, e la propria campagna di immunizzazione, e che – su un altro piano d’azione, quello economico – si stanno impegnando politicamente allo scopo di costruire le condizioni di una relativa autonomia delle proprie filiere produttive rispetto ai condizionamenti cinesi. Certo, non si tratta di autarchia, ma di un’affermazione in grande stile del ritrovato ruolo della politica.
Sotto la spinta della pandemia e del confronto fra Usa e Cina è quindi venuto il momento che allo Stato si guardi come a un bene comune, a una risorsa indispensabile. E che ci si metta all’opera per dargli quell’efficienza che è garanzia di una decente vita associata.
[integrato con brano tratto da La Repubblica – di Carlo Galli]