Eric Gobetti, E allora le foibe?, Laterza, Bari-Roma 2020, pp.118, euro 13
I dati storici ufficiali sono di circa 10mila morti, mettendo insieme le vittime del 1943 e quelle del 1945, mentre gli esuli italiani sono circa 350mila.
Le cosiddette foibe non hanno generato, come la vulgata politica ha cominciato a diffondere (per interessi di parte) negli ultimi trenta anni, più di un milione di vittime italiane e oltre dieci milioni di profughi italiani da Istria e Dalmazia.
Questo recente libro di Eric Gobetti va salutato come ossigeno salutare, nell’asfittico mondo che la politica ha contribuito a creare sul tema foibe, contro le verità e i dati fattuali storici. Non è un caso che il saggio dello storico contemporaneo esperto di fascismo e seconda guerra mondiale sia apparso nella collana “Fact Checking: la Storia alla prova dei fatti”, diretta da Carlo Greppi per i tipi di Laterza.
Può sembrare esoso, quando non sconveniente, dover fare i conti dei morti, ma quando la menzogna cerca di equiparare (nella reiterazione della bugia nel corso del tempo) la Shoah con le foibe è necessario far parlare i fatti. Ed Eric Gobetti lo fa in maniera magistrale in questo lavoro di facile lettura, di semplice comprensione e utilissimo per capire davvero molte cose: che gli italiani non sono stati sempre “brava gente”; che la politica modella a suo piacimento la vulgata storica secondo i proprio interessi; che la storia e la memoria non sono mai al sicuro dalle manipolazioni.
Sul confine orientale, tra Italia ed ex-Jugoslavia (diciamo così per sintetizzare) le questioni non sono semplici da comprendere. Resta comunque il fatto che non è esistita una nazione buona l’Italia con una popolazione brava e mite gli italiani, uccisi brutalmente e cacciati dal giorno alla notte dagli slavi cattivi, selvaggi e impietosi. Non c’erano gli italiani civili contro gli slavi barbari.
Ciò che è accaduto tra il 1943 e il 1956 (anno in cui Trieste torna a pieno titolo entro i confini italiani) sul confine orientale del nostro Paese, e occidentale per gli “jugoslavi”, non è un’attività di ostracismo e violenza contro gli italiani. Assolutamente no. Molti italiani rimasero in Jugoslavia, molti italiani erano sloveni o croati ai quali i fascisti avevano italianizzato il nome obbilgatoriamente e vennero uccisi nelle rappresaglie di guerra da partigiani slavi e italiani che vivevano nei territori di Slovenia, Croazia, Dalmazia. La nazionalità non era precisa, come accade spesso sui territori di confine. Fu il fascismo a mettere in atto una politica violenta di repressione delle varie popolazioni non italiane, quando venne in possesso di Istria, parte della Slovenia e parte della Croazia e poi della Dalmazia, cercando con omicidi e internamenti nei campi di lavoro e di sterminio di “italianizzare” quelle popolazioni. Il fascismo diceva che quelle popolazioni erano “italiane” perché erano state sotto l’Impero Romano e poi sotto la Repubblica di Venezia. Ma questa è una semplificazione sciagurata perché l’Impero romano e la repubblica veneziana non erano Stati che esprimevano nazionalismo esasperato, il loro atteggiamento nei confronti dei territori conquistati era soprattutto di natura commerciale, politica e solo in parte linguistica, nient’altro. Col fascismo cambia tutto, ci si ispira a un nazionalismo feroce che non tiene conto delle differenze. E i fascisti prima e i tedeschi e nazisti poi intervengono in quest’area d’Europa con grandi azioni efferate e violente, con migliaia di assassinii e centinaia di migliaia di deportazioni, prima che Tito con le sue truppe partigiane unisca i popoli slavi in un unico stato comunista.
Le cosiddette vittime delle foibe non sono vittime degli slavi che vogliono uccidere i bravi italiani, sono azioni contro i vecchi fascisti che avevano governato col pugno di ferro nel ventennio precedente o contri i tedeschi che avevano fatto le stesse cose violente.
Perché nessuno parla delle decine di migliaia di profughi italiani nel dopoguerra dalla Grecia, dalla Francia, dalla Tunisia. Tutti insieme sommano circa 350mila italiani, la stessa somma dei profughi istriano-dalmati. Tuttavia nessuno se ne è mai interessato.
Tante sono le vittime del fallimento del fascismo e della sconfitta dell’Italia in guerra. Sì, perché al di là del nostro incredibile e supremo carattere nazionale, cioè il trasformismo, l’Italia la guerra l’ha persa. E i fascisti con Mussolini hanno trascinato un Paese rurale e arretrato in una guerra assurda, al fianco di un regime nazista criminale.
Scrive lo storico: “Nello stesso volgere di anni e per ragioni analoghe, molte altre vicende drammatiche relative alla seconda guerra mondiale sono rimaste in ombra. La storia degli internati militari italiani in Germania dopo l’8 settembre 1943, per fare un esempio eclatante, oppure i morti civili nei bombardamenti alleati o le vittime delle violenze sessuali commesse dai liberatori nel Centro-Sud della nostra penisola. E ancora di più i crimini di guerra fascisti, inclusi i campi di concentramento o i gas utilizzati in Etiopia, temi che rimangono in gran parte avvolti dall’oblio ancora oggi. Ma il caso più clamoroso riguarda forse la Shoah: un evento così macroscopico ha dovuto aspettare decenni prima di venire riconosciuto come fenomeno storico epocale”.
Invece la recente politica italiana ha voluto ratificare per legge l’istituzione del 10 febbraio come “Giorno del Ricordo” delle foibe.
Eric Gobetti spiega bene come nei vari periodi storici il potere di turno accomoda i fatti secondo quel che gli torna comodo sul momento.
Dopo il 1956, con il rientro di Trieste in Italia, a PCI e DC tornava comodo per ragioni differenti la stessa memoria condivisa del fatto che si dovesse dire (secondo la DC) che gli italiani brava gente erano stati cacciati, poverini, dai comunisti jugoslavi (la versione, dopo che Tito aveva rotto con Stalin, andava bene pure al PCI di Togliatti); si poteva tacere un poco delle azioni partigiane non esclusivamente fatte da slavi ma anche da italiani contro ex-nazisti ed ex-fascisti, cioè i morti delle foibe (secondo il PCI), perché andava a infangare la Resistenza italiana.
Dopo Tangentopoli invece la convenienza nasce tra i due partiti che escono indenni dalla crisi morale dei finanziamenti occulti, cioè gli ex-comunisti e gli ex-fascisti. Per entrambi serve accreditarsi come capaci e orgogliosi curatori della Patria e degli italiani. Ecco che, in fretta e furia, si sommano questi interessi e si usano le foibe come atto storico di redenzione ed equiparazione dei morti ad opera dei nazi-fascisti con quelli ad opera dei comunisti slavi.
Il cerchio è chiuso. Ma la verità storica è compromessa, la memoria delle vittime infangata, il senso morale e civile della coscienza nazionale corrotto e compromesso per sempre.
Si dovrebbe intervenire, dice alla fine del volume l’autore del libro, per rendere giustizia alla storia, alla memoria, alle vittime e al futuro degli italiani, perché è soltanto attraverso una degna analisi e un esame di coscienza serio sulle responsabilità del fascismo per cui nessuno (a differenza di ciò che è accaduto in Germania per il nazismo) ha mai pagato, che si potrebbe uscire dalle bugie e dalla continua manipolazione della storia.