Netanyahu addio? Israele al bivio
Bibi non sembra più in sella. E Israele sta attraversando un periodo confuso.
Ci ha provato per ventotto giorni, ma alla fine ha dovuto desistere: dopo le elezioni di marzo, Netanyahu questa volta non è riuscito a formare un nuovo governo. Al potere per dodici anni, malgrado le inchieste per corruzione e l’odio degli ex alleati “traditi”, Bibi potrebbe dover scendere dal trono dopo un periodo di crescente instabilità politica (siamo alle quarte elezioni in due anni). Qualche giorno fa il presidente israeliano Rivlin ha dato mandato di formare un governo a Yair Lapid, leader di Yesh Atid, il principale partito di opposizione.
Insomma, né il “modello Israele” sulle vaccinazioni (62% della popolazione vaccinata a fine marzo), né la tenuta dell’economia hanno permesso a Netanyahu di resistere. E ora il futuro per lui si fa meno roseo: il processo per corruzione a suo carico sta entrando nella sua fase calda, e una condanna gli impedirebbe di ripresentarsi in caso di nuove elezioni.
Elezioni che, ancora una volta, potrebbero non essere lontane. Anche con il mandato esplorativo di Lapid, l’esito del negoziato per formare un governo non sarebbe scontato. L’opposizione è spaccata, tenuta insieme solo dal “rifiuto” per Netanyahu. Con Bibi fuori dai giochi, un “governo delle opposizioni” (sempre che riesca a partire) rischierebbe di avere vita breve.
Per la prima volta da oltre un decennio Israele rischia dunque di ritrovarsi senza un leader forte. Un’assenza che riporterebbe in primo piano le fratture interne: nell’attuale Parlamento servono almeno quattro partiti per una maggioranza e, senza il Likud di Netanyahu, ne servirebbero addirittura sette.
Tutto accade in una fase delicata per il paese: da un lato c’è la necessità di trovare un nuovo equilibrio con Washington (meno disposta a concedere vittorie anche simboliche a Israele), dall’altro la volontà di proseguire nelle normalizzazioni e conquistare nuovi alleati tra i paesi arabi della regione (ma questa volta senza l’aiuto di Trump). Senza contare i “vecchi problemi” che ritornano: il riaccendersi delle tensioni con i palestinesi e l’ostilità con l’Iran.
Nel frattempo, probabilmente per contrastare l’azione della Corte dell’Aja verso la potenziale incriminazione di Israele per azioni anti-umanitarie in Cisgiordania, il ministero degli Esteri israeliano chiede il congelamento immediato dei trasferimenti di finanziamenti a istituzioni palestinesi che “pretendendo di essere umanitarie, raccolgono invece fondi per organizzazioni terroristiche”, come il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp). Lo ha reso noto dopo aver divulgato un rapporto dello Shin Bet (sicurezza interna) secondo cui nel corso degli anni alcuni Paesi europei (non l’Italia, a quanto risulta) hanno sovvenzionato fra i palestinesi attività che erano assistenziali solo in apparenza.
[fonti ANSA e ISPI]