Caos a Gerusalemme
Non sappiamo se Netanyahu tragga un vantaggio da questo caos che sta infiammando Israele e Palestina. Certamente non sembra fare niente per calmare le acque. E questo fa comodo anche ad Hamas per alimentare l’odio.
Infatti, riesplode la tensione a Gerusalemme. Si protesta per il possibile sfratto di 70 famiglie palestinesi dal quartiere Sheikh Jarrah a Gerusalemme est (su cui però il Tribunale israeliano ha di fatto bloccato al momento lo sfratto), a cui oggi si è sommato l’annuncio di una marcia della destra nazionalista ebraica, poi cancellata. Intanto, il tentativo di sgombero della Spianata delle Moschee ha causato centinaia di feriti tra i manifestanti palestinesi e 20 tra i poliziotti.
È la seconda volta in un mese che le tensioni si riaccendono nella Città Santa. Ad aprile, scontri tra israeliani di estrema destra e palestinesi erano finiti con almeno 100 feriti. Intanto, poco fa da Gaza, Hamas ha cominciato a lanciare razzi su Gerusalemme. In risposta, Israele ha lanciato bombe con droni su Gaza e ha bombardato un tunnel sotterraneo a Gaza, che avrebbero causato alcune vittime civili.
Israele ha di fatto annesso Gerusalemme Est nel 1980, con una mossa non riconosciuta dalla comunità internazionale e tantomeno dai palestinesi, che la vorrebbero come capitale. Da allora, le tensioni in quella parte della città non si sono più fermate (riesplodendo già nel 2017 quando Trump decise di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele).
Per capire – almeno in parte – le ragioni delle proteste è importante sapere che sebbene circa il 60% della popolazione di Gerusalemme Est sia palestinese, dal 1991 i palestinesi hanno ricevuto solo circa il 30% dei permessi di costruzione. Il resto è andato agli israeliani.
Certo, anche il contesto pesa: decenni di battaglie sui diritti di proprietà dentro Gerusalemme, insediamenti israeliani in Cisgiordania in continua crescita. Ma, soprattutto, leadership sempre più fragili: in Israele quattro elezioni in tre anni non hanno ancora dato un governo stabile al paese; nei territori palestinesi non si vota invece da quindici anni.
Il paese campione nella lotta al Covid vede così infiammarsi la violenza e rischia una nuova intifada: scenario che non si può escludere nell’attuale vuoto di potere. Un vuoto, questo, anche internazionale: se Usa e Ue hanno espresso preoccupazione, nessuno sembra intenzionato a intervenire.
Ma questa volta a pesare è anche il silenzio arabo dei paesi che hanno normalizzato le relazioni con Israele. Senza ottenere in cambio reali progressi sulla questione palestinese, che riesplode oggi in tutta la sua urgenza.
[a cura di ISPI]