Battiato, il re del mondo
C’è una sequenza molto celebre di Palombella rossa, forse il film più “politico” del cinema italiano di quell’epoca, in cui Nanni Moretti quasi nella mimesi di un musical inscena un’esecuzione collettiva di E ti vengo a cercare che parte da una tribuna politica e finisce nella piscina dove si sta giocando la nota partita di pallanuoto. È questa forse la saldatura massima del rapporto tra Franco Battiato e l’immaginario collettivo, che ha marcato gli ultimi quarant’anni della storia di questo paese. Non perché prima non fosse esistito un Battiato, tutt’altro; ma perché quello che si estende dalla Voce del padrone in avanti ha inventato qualcosa che non esisteva nel pop italiano, e che nulla ha mai avuto a che fare col cantautorato classico. Una miscela realmente postmoderna, che solo quegli anni potevano partorire, di influenze, inferenze, citazioni, esotismi, detti che sono divenuti proverbiali. Il colto si metteva a disposizione del pop, disprezzandolo ma assecondandolo, offrendo a tutti un florilegio che potevano usare per sentirsi migliori. A Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata, a Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie andava bene per l’altoborghese come per l’uomo della strada che si infilava nella Fiat Uno appena presentata.
Mai lo spirito dei tempi fu più acutamente interpretato dalla musica leggera, forse; con quella voce angolare che richiamava l’ascoltatore alla realtà, e nel contempo lo trasportava in altre dimensioni, come faceva alla fine dell’Ottocento certa letteratura d’avventura. Non ha creato epigoni, perché era impossibile. Parodie casomai, del suo linguaggio talora elaborato come quello del suo conterraneo Gesualdo Bufalino (Ionia e Comiso, loro città natali, circondano la punta che sta nel meridione orientale della Sicilia, attorno a Siracusa). Tacciono ora i suoni nelle balere estive, per chi era abituato a fare scalo a Grado la domenica di Pasqua. Ma ascoltando con attenzione si udranno ancora passare i treni per Tozeur. Purtroppo, le migliori epifanie della saldezza della memoria collettiva avvengono in articulo mortis: ma avvengono, per nostra buona sorte.