15 Novembre 2024
Words

Tornano i talebani

“Non volevano arrendersi. Avevano chiesto rinforzi, ma sono stati ignorati”. E’ in questa testimonianza di un militare afgano il senso di frustrazione delle truppe regolari di fronte alla costante avanzata dei talebani, che ha provocato la fuga di oltre mille soldati nel confinante Tagikistan. E adesso, con il ritiro quasi completato del contingente Nato, la paura che circola nel Paese è il collasso definitivo delle forze armate, ultimo argine al ritorno di una teocrazia islamica.

Nei giorni scorsi gli Stati Uniti hanno abbandonato la base aerea di Bagram, il centro nevralgico della loro campagna in Afghanistan, di fatto rinunciando alla possibilità di condurre operazioni significative sul terreno. E Washington, finché i talebani manterranno fede al loro impegno di non attaccare più gli occidentali o di ospitare basi terroristiche, non rallenteranno il ritiro, che dovrebbe completarsi a settembre.
Un’arma in più per gli insorti, che con la stragrande maggioranza delle truppe straniere già via, ed i negoziati interni di pace in stallo, stanno continuando ad espandere il loro raggio d’azione. Soprattutto al nord, roccaforte tradizionale dei signori della guerra che si erano alleati con gli Usa per sconfiggerli, nel 2001. Le province di Badakhshan e Takhar sono quasi sotto il loro controllo.
L’esercito afgano sembra impotente di fronte all’avanzata dei ribelli, che da maggio hanno riconquistato decine di distretti, ed ora controllano un terzo del Paese. Negli ultimi scontri oltre mille soldati regolari hanno riparato in Tagikistan, ed è stata la terza fuga in tre giorni. La quinta in due settimane.
Le autorità locali osservano preoccupate questo flusso, per ora di centinaia di persone, ed hanno deciso di mobilitare 20.000 militari della riserva per rafforzare ulteriormente il confine.
Anche da Pakistan e Uzbekistan ci sono state segnalazioni di soldati afgani in fuga, e tutti i Paesi limitrofi si preparano a un’ondata di rifugiati, anche tra i civili, se i combattimenti dovessero intensificarsi. Tante famiglie hanno già abbandonato la provincia meridionale di Kandahar, dopo che i talebani hanno ripreso il controllo di un distretto chiave nel loro ex bastione.

La versione dei ribelli è che la maggior parte dei distretti sono caduti pacificamente, perché le truppe governative si sono rifiutate di combattere. Ma al netto della propaganda la rinascita dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, abbattuto dagli americani dopo l’11 settembre, appare sempre più a portata
di mano.
Kabul, fino a questo momento, resiste. Il portavoce dei talebani Suhail Shaheen ha assicurato che non c’è la volontà di un’invasione, ma ha avvertito che “nessuna forza straniera, inclusi contractor militari, dovrà rimanere nella capitale dopo che il ritiro è stato completato”. Proprio da Kabul il presidente Ashraf Ghani, mai così debole, sta provando ad imbastire una controffensiva, assicurando che i governativi sono in grado di tenere a bada gli insorti. Nel frattempo, però, il suo governo si è detto pronto ad un cessate il fuoco ed alla ripresa dei negoziati. Consapevole che una vittoria militare contro i temibili avversari appare lontanissima.

[di Luca Mirone – ANSA]