15 Novembre 2024
Culture Club

11 settembre: il corpo della poesia

Anche qui non potevamo esimerci dal ricordare il ventennale dell’11 settembre. Oggi nel 2001 i terroristi di Al-Qaeda dirottando alcuni aeroplani si lanciarono come missili contro le due torri gemelle di New York. Fu come aver colpito il territorio americano per la prima volta, come aver portato la guerra delle “armi non-convenzionali” direttamente in casa degli USA. E la reazione fu di pari entità: una guerra in Irak e una in Afghanistan che ancora adesso, dopo venti anni, prosegue a lasciare strascichi di terrore e di violenza, contro la popolazione afgana in primis.

Inoltre, vale la pena anche ricordare e mettere da parte un’altro 11 settembre, quello del 1973 quando, invece di essere colpiti, gli Stati Uniti colpirono il cuore della democrazia cilena, permettendo a Pinochet di attaccare il palazzo de La Moneda e bombardarla, uccidendo il premier eletto Salvador Allende e innescando un vulnus in Sudamerica.

Tuttavia, tornando al tema di questo giorno “americano” che ha cambiato molto la fisionomia dei poteri e delle alleanze in Medio Oriente (come spesso ricordava l’amico Marco Giaconi), credo che dopo 20 anni il tema delle twin towers meriti di essere affrontato anche dal punto di vista letterario e culturale. Infatti, nel corso di questo tempo trascorso tra il 2001 e oggi  si è scritto prima com’è andata davvero la questione strutturale dei grattacieli, poi i complottisti hanno avuto modo di esporre le proprie tesi, poi verso il decennale (dopo tanti morti tra le file dei pompieri per asbestosi) si è provveduto a eroicizzare i pompieri di New York, poi si è cominciato a ricordare che le guerre post 11 settembre erano giuste e si è ucciso Osama Bin Laden, poi si è parlato della ricostruzione dell’area del World Trade Center, ecc.

Adesso potrebbe essere arrivato il momento di cominciare a raccontare che cosa sia stato più intimamente l’11 settembre americano. E io voglio farlo parlando di una poesia di Alessandro Agostinelli, tratta dal suo ultimo libro Il materiale fragile (Pequod Edizioni, 2021). La poesia parla dell’11 settembre da un punto di vista intimo, per certi versi impressionistico e per altri simbolico. La poesia sembra d’ispirazione atea, mentre invece è un omaggio al ministero della fede esercitato proprio nel settembre 2001 nella chiesa di Saint Paul’s Chapel. Ma quale tipo di ministero?

La poesia riporta alcune parole del reverendo Lyndon Harris che spiega come in quella chiesa si prendano in considerazione i bisogni dell’uomo, soprattutto quelli del corpo. Un corpo votato agli altri, quello dei pompieri di New York che trovavano all’interno della chiesa nei pressi del World Trade Center, il sostegno tra un turno e l’altro, la cura e l’affetto di chi dava loro conforto e soddisfaceva i loro bisogni primari. Lì è stato così non per caso, ma perché in fondo Gesù crede nel corpo umano più di tutto, anche dopo la trascendenza – ricordate: riprenderete il vostro corpo per il giudizio universale. E come nel quattordicesimo canto del Paradiso, Dante scrive del corpo che deve raggiungere l’anima perché ci sia il trionfo della luce (terzine 13-18). L’importanza del corpo (della sua gioia e sofferenza) torna sempre nella tradizione poetica, non soltanto religiosa. Il corpo dell’uomo è sempre stato motivo di compassione per la religione cristiana.

La poesia di Agostinelli è stata scritta in occasione di un evento poetico che ha visto una decina di poeti italiani (tra cui Agostinelli stesso, Trinci, Veracini, Bollea, Parrini) a Volterra comporre alcune poesie sul tema della Deposizione di Cristo del Rosso Fiorentino, quadro di mirabile composizione e fonte di grandi ispirazioni nel corso dei secoli. Agostinelli, in quel 2006, andò a pescare dalla sua memoria visiva e concettuale una specie di deposizione che aveva vissuto direttamente, quella dei pompieri dell’11 settembre 2001.

Lo scrittore toscano aveva vissuto l’11 settembre in USA, mentre si trovava per studio a San Francisco e dopo 6 giorni, col primo volo utile andò a visitare il WTC a New York per vedere con i propri occhi che cosa era rimasto dopo l’attentato. Nella poesia ha scritto che vide operai, pompieri e cittadini al lavoro per spostare le macerie, vide i fumi dei calcinacci e gli spiegarono che ancora una settimana dopo l’attentato, sotto le twin towers l’acciaio proseguiva a fondere a temperature altissime. La stampa americana, nel primo anniversario dell’11 settembre, scrisse che dopo l’attentato il ferro nei tunnel della metro sotto le torri aveva continuato a fondere e bruciare per circa tre mesi…

A St. Paul’s Chapel il giorno dopo l’11 settembre 2001 misero in piedi un presidio sempre aperto per offrire cibo, acqua, docce, brande e sostegno psicologico soprattutto ai pompieri e a chi lavorava nel “buco” delle macerie del WTC.

Agostinelli c’è tornato dopo dieci anni e con questo poema racconta quanto è stata fortissima l’emozione. Racconta che entrato in chiesa, guardando le foto di dieci anni prima appese a una parete, gli torna in mente di quando era stato lì davanti e guardare i pompieri che arrivavano sporchi e distrutti dal turno di 10 ore per mangiare una minestra calda. E il pianto bagna la poesia di Agostinelli, un pianto lungo e duraturo, come un lamento liberatorio.

A volte si dice che la letteratura è un omaggio alla fantasia e una fuga dalla realtà. Nel caso di questo poema l’intreccio tra il reale, l’emozionale e il metafisico si stabilisce soltanto dal suono delle ripetizioni che, come un mantra, indicano una strada fuori dalla violenza, fuori dalla rabbia e lontano dalla vergogna perché chi viene cantato in questo poema (cioè i pompieri di New York) ha fatto fino in fondo il proprio dovere.

 

IX

non credo in dio
non riesco nemmeno a dire
e non riesco a smettere di piangere
non riesco a smettere di piangere.

mi copro il volto con le mani.

non pensavo ci fossero dentro
ancora tanti oggetti di quei giorni.
per quanti mesi è durata questa
pratica dell’umanità…

era una serata più faticosa delle altre?
erano angeli questi?

fuori era l’inferno,
a qualche decina di metri l’acciaio
proseguiva a fondere a centinaia di gradi,
dalle macerie si continuavano a
tirare fuori pezzi di corpi umani.
qui dentro non uno sguardo allarmato,
non una faccia tirata,
solo calma e gentilezza.

erano angeli questi?
non riesco nemmeno a dire
e non riesco a smettere di piangere
non riesco a smettere di piangere.

copro il mio volto con le mani.

molti di noi si riposavano sulle panche
di legno, vestiti com’erano,
ci chiedevano se volevamo caffè, doccia,
oppure ci abbracciavano e basta.

è questa la carità?
non credo in dio,
nella fede che scuote.

quando io entravo per questa porta
a volte ero coperto di sangue e loro
mi tenevano stretto
e si sono presi cura di me.
mi hanno nutrito e massaggiato.
ero morto di fatica negli occhi.
ero morto.
loro mi davano la forza.

erano angeli questi?
non credo in dio,
nella fede che scuote.

quando io entravo per questa porta
di st. paul’s chapel…

sono la mia gente.
questo è il mio posto.
questo è il paradiso.

io non credo in dio,
io credo alla gente di st. paul’s chapel,
credo nella loro aspirazione alla pace.

io credo nelle parole del reverendo
lyndon harris:
what we tried to offer at st. paul’s
was an integrated approach to ministry
where all the needs of the human
being were taken into consideration,
especially the needs of the body.

non riesco nemmeno a dire
e non riesco a smettere di piangere
non riesco a smettere di piangere.

mi copro il volto con le mani.

ogni giorno una maceria da sollevare,
continuamente una croce da togliere.
sempre quell’odore, quell’infamia
della polvere di amianto e di acciaio.

ogni giorno uno sguardo in più per piangere,
e i rumori insopportabili delle ruspe
di continuo, un momento dopo l’altro,
questo lavoro incessante dentro
l’inferno. loro erano là, con noi.

io non credo in dio
credo nella gente di st. paul’s chapel,
nella loro aspirazione alla pace.

io non credo in dio
io credo nella gente di st. paul’s chapel,
credo nella loro aspirazione alla pace.

[tratto da “Il Materiale Fragile”, Pequod Edizioni, 2021]