Alberto Casadei, DANTE. Paolo e Francesca – Invettiva per l’Italia – Inno alla Vergine, Garzanti, Milano 2021, pp. 96 – 96 – 96
Questi sono tre libri che compongono un progetto critico-editoriale di spessore nell’ambito del settecentenario della morte di Dante Alighieri.
La scelta di Alberto Casadei di raccontare la Commedia attraverso tre canti capitali, uno per ciascuna cantica è originale e al tempo stesso intrigante per avvicinare sempre nuovi lettori al poema generativo della nostra letteratura. Ma se qualcuno pensasse che, dato l’esile profilo dei libretti (non a caso sono usciti nella collana “I piccoli grandi libri”) e l’ovvia semplicità di un invito alla lettura attraverso un assaggio dantesco, questi fossero soltanto saggetti riassuntivi e meramente esplicativi dei tre canti, si sbaglierebbe di grosso.
Casadei non cede alle lusinghe delle celebrazioni dantesche per dare in pasto al lettore una sua personalissima elaborazione sintetica del poema. Anzi, da italianista formato a una scuola di eccellenza e profondità filologiche, misura in questi libretti tutta la tensione delle nuove ricerche su Dante, e sigilla con persuasione illuminante e solide basi documentali le ultime novità sulla vita del “fondatore” dell’italiano.
Questo progetto librario è formato dal primo volume dedicato al canto V dell’Inferno, quello di Paolo e Francesca; dal secondo volume dedicato al canto VI del Purgatorio, quello dell’Invettiva per l’Italia; dal terzo volume dedicato al canto XXXIII del Paradiso, quello dell’Inno alla Vergine. Ogni volumetto ha un’introduzione pianificatoria, l’analisi approfondita del canto e infine il canto stesso secondo l’edizione critica del Petrocchi (Le Lettere, 1994).
1. Nel primo libro Casadei mette subito in evidenza il protagonismo di Francesca, cioè la centralità della figura femminile in questo canto e la figura ancillare del maschio: è lei il centro dei turbamenti e del sentimento d’amore. In questo intenso spiegamento di emozioni suscitate dalla poesia e dalla sensibilità dell’autore, sostiene lo studioso forlivese, si misura il racconto di una storia d’amore che diventa eterna. E il ruolo della donna viene fuori in tutta la sua potenza, come già Casadei aveva accennato nel suo Dante (Il Saggiatore, 2021), ma anche Barbero nel suo libro (Mondadori, 2021) e Santagata col postumo Le donne di Dante (Marsilio, 2021).
2. Nel secondo libro si parla di politica, di un’idea di Italia da cui Casadei mette in guardia contro le facili semplificazioni risorgimentali di un Dante nazionalista. E segnala un ideale fil rouge con Petrarca, Bembo, Foscolo. Con il paragrafo dell’Italia senza governo (p. 27) ci si addentra nei casi di specie del contesto storico-politico, mentre nell’ultimo paragrafo, prima del canto (Il testo a distanza ravvicinata p. 49) Casadei sciorina tutta la preparazione e l’acume del critico facendoci entrare dentro la carne viva della questione.
3. Nel terzo libro si parla di sacro e divino, due aspetti insondabili e ineffabili, ma di cui Dante ha voluto celebrare, pochi mesi prima di morire di malaria, i contorni più puri, accessibili grazie a Donna Beatrice. È il canto che il pellegrino, partito dagli inferi corteggia infine come desiderio di compenetrazione in Dio e assenza di individualità logora e terrena. C’è qui una sorta di pacificazione di Dante con se stesso e con la sua storia, oltre alla brama quasi di conoscenza intellettuale, poiché all’epoca per gli eruditi come lui la divinità era anche una forma di avvicinamento a uno stato di coscienza superiore.
Tornando all’analisi generale dei tre volumi, preme dire che uno dei punti più importanti della riflessione casadeiana in questo lavoro si aggruma nelle prime due pagine del terzo volume, quando il docente universitario, di stanza a Pisa, si chiede se Dante credesse o meno all’esistenza di un aldilà possibile e quando, poche righe dopo alla domanda “dove sta la verità?”, risponde che “il problema si pone per tutte le opere letterarie che aspirano a uno statuto di assoluta fedeltà ai fatti o, in questo caso, agli esiti di un miracoloso viaggio ultraterreno”. E ridondando di libretto in libretto Casadei non fa altro che ripetere, ogni volta che se ne presenta l’occasione, che quando Dante pronuncia il termine comedia nel poema non orienta verso un titolo il lettore accorto, ma – dice Casadei – è come se dicesse “il mio romanzo”. Ecco il tema capitale di questi libretti: Dante ha scritto un poema perché ambiva a soddisfare la propria necessità autobiografica (che non è mai soltanto fattuale ma si manifesta massimamente attraverso la competenza intellettuale e gli studi dell’autore – quando un autore ha alle spalle studi corposi). E questa volontà di immaginarsi un’opera quasi fantascientifica (accenna anche a questo Casadei) nella necessaria descrizione concreta di tre ambienti impensati (pur se intuiti in pedanti trattati da qualche filosofo a lui antecedente) che espone la verità, nascondendola nella costruzione e nelle affermazioni, nei dialoghi dei vari personaggi della storia. Questa è la “modernità” classica di Dante che crea con la Commedia un romanzo vero e proprio in poesia.
E allora tocca a noi, perché a questo punto Dante ci interpella. Da un lato egli ci parla e contagia il lettore comune con le sue storie esemplari di amanti desiderosi e inarrestabili, di questioni politiche ancora oggi sentite vicine per il basso livello etico del metodo, di una visione meditativa e partecipata in cui si percepisce l’ineffabile “armonia intera del mondo”, ma dall’altro lato (quello di chi ha a che fare con la letteratura e con la scrittura) il Dante di Casadei fonda, nel poema a terzine incatenate, un romanzo narrativamente complesso e incalzante che suggerisce come la fluidità dei generi fosse consistente fin dal principio della nostra storia letteraria. E tuttavia, ancora questo aspetto chiama in causa più che mai i poeti contemporanei, il loro modo di fare poesia e la riduzione spesso claustrale di certe esperienze post-novecentesche, laddove invece dal Medioevo giunge a noi un segnale luminoso di come la strada della scrittura possa essere vasta culturalmente, follemente immaginativa e deliberatamente compendiaria.
In questo, ancora, Dante è più che mai qui, in mezzo a noi, col canto dei versi, con tutta la forza della sua sublime capacità narrativa, con tutta la densità della sua esperienza di rabbia e dolore che sa comunque percepire nella letteratura stessa un cerchio perfetto di compiutezza.