F. Bellino – G. Buttolo, Dalil, Barometz edizioni, Napoli 2021, pp. 36, illustrato
«Da un granello di sabbia / unico e raro / nasce il deserto». (Moncef Ouhaibi). Si apre con questa citazione il bel volume edito da Barometz. Un libro che ci porta in volo alto sul deserto, luogo di tutto e nulla in cui le voci solitarie dei due protagonisti trovano suono. Un bambino che ha perso suo fratello, Sadiq, che si ritrova solo, alle porte del deserto. Cercando un possibile nord incontra Dalil, l’ultimo degli Ibis eremita, ormai estinto. Insieme percorrono il deserto siriano, planano alti su quei luoghi in cui sorgono le porte di Palmira, sulle meraviglie della grande civiltà.
Kalib e Dalil volano, l’uno bimbo, l’altro grande memoria mitica, come ombre sulle dune di questo deserto. Volano come contemporanei sulle spalle dei propri avi. Testimoniano, in questo libello che si compone di un piccolo grande testo e di immagini che si stagliano sulle tinte dell’ocra e del nero, di quell’ umanità che, anche nell’orizzonte infinito del luogo senza forma [sottratto ad ogni punto cardinale], può sempre costruire un’immane bellezza.
Dalil è un libro che parla con tono delicato di un mondo che sembra lontano, disperso. Se si prova a chiedere all’autrice qualche informazione in più sul personaggio dell’ibis eremita Dalil si scopre che la sua specie è estinta, e non molto sappiamo sulla sua scomparsa, se non alcune teorie, che riguardano in realtà tutto il mondo, e l’umanità che lo abita. Lasciando le parole a un altro grande poeta, siriano:
Vennero / portavano su un piatto rosso la testa dell’orizzonte. Anche il miraggio fu evocato, / scendeva lontano in un deserto non lontano. / / Labbra battevano come fossero campane, / un alchimista distillava l’elisir di lunga vita, / e il sale combatteva il pane. (Adonis)