21 Dicembre 2024
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Una banana è per sempre

Todd Haynes ha fatto molto per rappresentare il rock al cinema: sicuramente, con Cameron Crowe, è quello che negli ultimi venticinque anni ha fatto di più. In un certo senso, ne ha distillato i lati mitologici estraendoli da una semplice rappresentazione di una realtà – anche solo finzionale – per elevarli al ruolo di archetipi, da cui la realtà discende. Questo spiega la dissociazione picassiana di Dylan in I’m Not There, ad esempio, ancora di più che la ricostruzione glam di Velvet Goldmine.

Velluto, appunto. Digressione. I Velvet Underground sono per chi scrive se non tutto almeno molto, moltissimo: è la musica nella quale è cresciuto, nella quale si è formata gran parte della sua weltanschauung rock. Mettersi a vedere un documentario di Todd Haynes sui Velvet Underground, dunque, non era un’operazione così banale.

A differenza degli altri suoi film, qui il regista non ha a che fare con gli archetipi ma col racconto della realtà. Non trasfigura, ma assembla. Eppure riesce nell’impresa di costruire un ritratto tanto documentario quanto sentimentale, che alla ricostruzione accurata di un milieu culturale affida il ruolo di disegnare i contorni del mito. Esce come in una finzione vera l’affresco del mondo che rese possibili i Velvet Undergound, che al momento li fece sembrare contingenti, eventuali; ma subito dopo li definiì come seminali e ineludibili. Ci sono dei vecchi, inteso in senso buono, come protagonisti: chi non è diventato vecchio è morto e appare solo come voce. John Cale finalmente dice la sua con poco contradditorio da parte di Lou Reed; Moe Tucker, incredibilmente uguale ad allora con le sue rughe; e i pochissimi sopravvissuti della Factory e di quell’avant-garde così poco hippy per quell’epoca, ma preconizzatore di tutta l’arte commerciata. Ascolti Jonathan Richman raccontare di come riuscì a far cambio tra un disco dei Fugs e il Banana Album, che alla controparte non piaceva, e capisci come mai in chiunque abbia avuto in mano questa opera poi sia nato il desiderio di fondare una band: compreso chi scrive, il quale candidamente ammette di non saper estrinsecare una visione critica di questo film; che è rock, e basta. Per una volta, l’archetipo e quello che è stato coincidono. Del resto, era inevitabile che la plastica esplodesse.