Halldór Laxness, Il paradiso ritrovato, Iperborea 2022 pag. 352, €19,00, traduzione dall’islandese di Alessandro Storti
L’Islanda che si sta preparando alla celebrazione del millenario della colonizzazione danese, tra gli anni settanta e ottanta del milleottocento, è un Paese economicamente e culturalmente depresso, e registra un alto tasso di emigrazione.
Quella di Steinar di Hlíðar è una fattoria antica, difesa con costante laboriosità dalla invasione del pietrame che crolla dalle rupi, dove si allevano pecore, mucche, cavalli. Lui vive lì con la moglie e due figli, maschio e femmina.
Se Steinar è ritenuto un modello per le capacità artigianali e di allevatore, nonché per la sua sensibilità poetica, il resto della famiglia, soprattutto le femmine, generose e aperte all’accoglienza, vive nella ignoranza più assoluta, in una forma di ingenuità primordiale. Le parole e le scelte del padre sono sempre considerate giuste, grazie alla fiducia ed alla stima che nutrono per lui.
In casa non entra denaro, l’oro è ritenuto peccaminoso.
Ma intorno ci sono uomini avidi che puntano a guadagni cospicui e facili. Così, quando alla fattoria nasce e cresce un puledro unico per le sue straordinarie prestazioni e bellezza, Nevischio, commercianti di bestiame e interessati esponenti delle Istituzioni si fanno avanti con le loro offerte in denaro.
Ma Steinar – che significa pietra – non è un sempliciotto. Offrirà il cavallo solo al re danese. Gratuitamente, come un buon suddito. E sarà ospitato a corte, a Copenaghen, dove si recherà portando in dono un magnifico scrigno di legno pregiato, costruito con le sue mani, che si può aprire solo seguendo i versi di una poesia. Delusione per lui sarà ritrovare il cavallo ridotto a balocco dei figli reali, e scoprire che nessuna delle teste coronate sa aprire il suo scrigno.
Laxness crea un contesto di fiaba, in una Natura ostile ma domata, dove miti e saghe sono ancora presenti e vivi. Come nelle fiabe che si rispettano appare un antagonista: è Björn di Leinur, commerciante di cavalli e fascinoso conquistatore di femmine. Lui si insinua nella famiglia di Steinar, in sua assenza, nelle sue terre, ed anche nel letto della figlia adolescente che niente sa di ciò che riguarda il sesso.
Da questo contesto ci si allontana seguendo la figura di un predicatore mormone, il vescovo Pjóðrekur, che Steinar ha già incontrato in patria e che si presenta di nuovo sulla sua strada a Copenaghen. Perseguitato e malmenato in Islanda, resta fermo nella sua missione di convertire alla fede di Joseph Smith, fondatore della Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni. Lui parla di un regno in terra dove non esiste la miseria, a Salt Lake City nello Utah, dove uno può arrivare anche a possedere un gregge di migliaia di pecore, e dove si pratica la poligamia.
L’incontro con il vescovo apre una nuova fase nella vita di Steinar, affascinato dal gregge, non dalla poligamia. Così attraversa l’Atlantico alla ricerca di questo paradiso promesso. E lì fa il muratore, ché lo sa fare bene, accetta il battesimo per immersione, cambia nome, ascolta, collabora, ed inizia a costruire una casa per la famiglia che vuole far venire dall’Islanda.
La parentesi aperta sui Mormoni è molto ampia, quasi un romanzo nel romanzo – non sono tralasciate le azioni del governo federale contro queste pratiche religiose – ma Laxness -premio Nobel 1955 “per la sua opera epica che ha rinnovato l’arte e la letteratura islandese”- non perde mai il controllo della narrazione riannodando il filo, scavalcando l’Atlantico quando è necessario.
Con uno sguardo onnicomprensivo che non si schiera e non giudica, sembra rimanere imperturbabile sia davanti alla primitività di comportamenti e azioni, sia di fronte al numero sempre crescente di mogli di ogni età che affiancano un mormone, sia davanti alla assenza di voce – in senso decisionale- di ogni donna.
Ma l’ironia diffusa, sottile e non offensiva, è la soluzione più adatta a gestire il tutto, a porre la necessaria distanza tra i fatti – talora ispirati a vicende reamente accadute- e il narratore. Il lettore procede in una atmosfera sospesa, dove tutto sembra eccessivo, impossibile: l’ingenuità, l’ignoranza, l’opportunismo, la violenza, l’emarginazione. Ma anche il coraggio, la fiducia e la speranza.
Il paesaggio ha una forza trascinante, sia nel gelo dell’Islanda, sia nelle vastità desertiche del nuovo mondo, un paesaggio che non fa sconti in durezza, ma che si modella grazie alla resistenza e alle mani dell’uomo.