22 Novembre 2024
Words

Cosa vuole Mosca

Il tavolo resta aperto. Ucraina e Russia continueranno a parlare. Ancora in Bielorussia e «nel brevissimo futuro» secondo la delegazione del Cremlino. «La data esatta potrà essere definita domani». Ma è questa l’unica buona notizia del terzo round di negoziati tra Mosca e Kiev. I bombardamenti russi non solo non si interrompono, ma su Kiev e sul Mar Nero si fanno anche più intensi. Ieri notte forti esplosioni hanno scosso Odessa. Mentre a Kharkiv un impianto di ricerca nucleare che produce radioisotopi per scopi medici e industriali è stato danneggiato dai bombardamenti.
Per oggi Mosca ha annunciato un cessate il fuoco per permettere corridoi umanitari per l’evacuazione dei civili da Kiev, Chernihiv, Sumy, Kharkiv e Mariupol. Pochi ci credono. Le schermaglie dei negoziatori su dove e quando sedersi indicano la mancanza di volontà di discutere i punti sostanziali o fare proposte accettabili. A tutti è chiaro che il vero problema non è dove parlare, ma che nel frattempo la gente continuerà a morire. È Mosca ad avere il pallino del gioco e questo suo allungare i tempi serve solo a lasciare che l’«operazione militare» raggiunga altri risultati.

Russi e ucraini non sono neppure riusciti a concordare quei corridoi umanitari di cui i civili di Mariupol e altre aree accerchiate hanno bisogno. Ieri Mosca aveva proposto di evacuare gli abitanti sotto assedio verso territori russi. Una proposta irricevibile senza osservatori internazionali. In questa guerra di filmati su Instagram e accuse di atrocità, sarebbe stato facile inscenare un falso attacco ucraino o far scomparire i civili approdati in Russia. I negoziatori di Kiev hanno protestato per l’immoralità dell’offerta. Il presidente Zelensky ha parlato di cinico tentativo «di sfruttare la sofferenza delle persone per ottenere una foto di propaganda». E in serata ha diffuso un video che lo mostra, per la prima volta dall’inizio dell’invasione il 24 febbraio, nel suo ufficio: «Resto qui, non mi nascondo e non ho paura: negozieremo fino all’accordo di pace». Ma dubbi sulla sincera volontà russa di aprire ai civili arrivano anche dal terreno. A Mariupol, la città-porto circondata e ridotta alla fame, la delegazione internazionale aveva avuto ieri l’ok per evacuare il proprio personale. Ci sono decine di operatori locali e alcuni stranieri tra cui una giovane donna australiana. Il convoglio con la croce rossa sulle portiere è partito seguendo le indicazioni del comando militare russo, ma la strada che avrebbe dovuto essere «protetta e sicura» era minata. Il prossimo incontro sarà il quarto, le distanze restano abissali.

Poche sono le indiscrezioni e vanno prese con ogni precauzione: pare che Mosca sia disponibile ad accettare che Zelensky rimanga in carica, ma perda i suoi poteri a favore di un primo ministro favorevole a Mosca. Questa è la prima richiesta russa e si ipotizza che il nome sul tavolo sia quello di Yuriy Boyko, parlamentare pro russo, ex ministro e vicepremier.
Seconda richiesta russa: la secessione dell’intero Donbass, oltre alla porzione catturata dalle milizie filorusse nel 2014, anche le parti storicamente facenti parte della regione, inclusa Mariupol.
Terza richiesta: il riconoscimento da parte ucraina della conquista russa della Crimea, base navale e nucleare fondamentale per la proiezione di potenza di Mosca nei mari.
Quarta richiesta: un corridoio che unisca il Donbass alla Crimea già in mano russa dal 2014. Per Mosca significherebbe una continuità territoriale dalla regione di Rostov sino alla Crimea mettendo in sicurezza le fonti idriche della grande base militare presente sull’isola.
Quinta richiesta: la città di Kharkiv al confine orientale dell’Ucraina, con l’intera sua regione, dovrà passare alla Russia. È l’area dove è più alta la percentuale di popolazione che parla russo. Ma anche lì, la reazione della gente all’invasione, ha fatto capire che essere russofono non significa essere favorevole all’annessione del Cremlino.

[di Andrea Nicastro – tratto da Corriere della Sera]