19 Dicembre 2024
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Giampaolo Giampaoli, Parole raccolte, Sillabe di Sale Edizioni 2020, pag. 76, € 14,00.

“Devo abituarmi a chiedere quando i poeti rompono i loro silenzi [,..] Devo abituarmi alla luce solenne da donare alle solite azioni”, cantano i versi di Giampaolo Giampaoli nella silloge “Parole raccolte”.

E’ un dialogo con la poesia e con la vita, quello di Giampaoli, con la poesia che si fa “involucro di messaggi discreti”, non protesi alla teatralità, che tuttavia racchiudono un universo. La voce della poesia risuona forte e chiede che si trovino parole per infonderle nuova linfa.

Funzione alta quella della poesia, che si fa voce dell’immenso, ed allo stesso tempo porta serenità allo spirito, consola, quando arriva la consapevolezza di avere trovato la collocazione alle emozioni dentro di noi con le parole più giuste e leggere. C’è un tendere a “ricostruire l’unità di pensieri opposti al vento che invade, descrivere l’essenza dei messaggi, dipingere un domani alieno all’ozio della mente”. Il vento ci distrae, ci allontana, bisogna opporsi al vento.

Se la poesia vuole donare “luce solenne alle solite azioni”, essa raccoglie tutto dalla vita, perciò propone “materia dolce o aspra”, perché tale è la realtà, e la poesia deve essere sincera. Anche le circostanze dello spirito possono essere “calde o fredde”, ombre mute vi si possono distendere perché “fanno parte del mio essere distorto, spiacevole e inevitabile”, perché tale è l’animo umano, perché, in questo “nostro breve cielo stellato”[…]“a noi manca un lume interiore, se si accende non lo scorgiamo”.

La bellezza consola, si riconosce e si apprezza: “Difendo bellezza insperata, giunta nelle tremule mani in un soffio caldo, la difendo dal turbine di voci, dal dolore raffermo rivolto al vano istinto di violare l’intimo diritto alla felicità”.

C’è un continuo tendere verso l’altro, l’altro porta un completamento di sé, la gioia della condivisione: “Giocare con il tuo corpo, elastico ma disteso si contrae nel rumore soave di una voce acerba, una sinfonia che mi circonda. Viverti accanto, fugace nel fluire del tempo, impietoso nei meandri dell’emotività, assaporare l’odore della pelle”.

E la leggerezza della unione in un ballo: “Ci vediamo liberi nel ballo, rotti gli schemi di un cuore muto, aperti nell’aria a vagare la leggerezza dei nostri corpi”.

Scorrono volti nei versi di Giampaoli, del padre, di figure amiche le cui parole regalano “la fresca luce del tuo baluginante sorriso”; di persone che non si dimenticano: “Sei fuggito dentro un sospiro, ma non ti perderò fino al tramonto della ragione”.

C’è in Giampaoli una fiducia indiscussa nella vicinanza di Dio all’uomo, un Dio amico a cui dedicare poesia sincera, onesta: “Vorrei donarti parole di poesia, senza sussurrare o raccontare consuetudine”. In Lui e nella Poesia si trova ugualmente rifugio, per “colmare la consistenza del vuoto” e  “l’alterità è un Dio che ordina la mente confusa, delusa, che pensa io trovi sollievo in Lui e nella poesia”.

In questa fiducia non si spezza il continuum vita-morte, e l’energia vitale di chi non è più rimane introno a noi: “Ti avverto vicino, non nella materia vulnerabile”. La Natura stessa aiuta in questo perpetuarsi delle cose: “Della tua terra restano pochi passi, risorgerà in piante spontanee volte dalle mie mani al desiderio dei frutti”.

La sofferenza è accettata in quanto parte della vita: “il tuo viso sereno nel dispiacere, la materia malata non piega lo spirito come una mente deforme”. Necessario è il distacco dalle umane passioni “Arretra la tua mente, distendila nel riposo, nel dolce oblio sovviene l’età generata dopo ogni tempesta”. La vecchiaia è osservata con mente pacata -del resto rimane un privilegio ricevuto- quando “è dolce sentirsi perso, graduale nel lasciarsi lentamente annientare”.

Emerge comunque uno spirito battagliero dai versi di Giampaoli, come succede a chi cerca la verità e combatte per fissarla con le parole. Ci sono tramonti infuocati altamente simbolici: “Guardo il tramonto di sangue, dalle nuvole pulsa il vivere, sincera espressione a cui tendere”. Si cerca la dignità della parola poetica, di essere “degno di versi capaci di sedare uno spirito irruento alla sera, quando la varietà dei poeti riflette sotto gli ultimi respiri del giorno”.

La ricerca fa parte della vita del poeta, in un continuo interrogarsi, dubitare, con una energia interiore che mai si deve spegnere: “Perenne moto nel procedere alla ricerca dell’ingenuità, anelo a un desiderio incalzante, inconcludente, distruttivo. Non trovo la linfa mai concepita, la vado ancora cercando ma in silenzio, senza delinearla, eppure esistente”.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.