Suslov, doppio scenario ucraino
«Al Cremlino ci sono attualmente due scuole di pensiero e il presidente non ha ancora scelto. La prima, che definirei massimalista, dice che occorre infliggere una sconfitta pesante all’Ucraina nel Donbass e poi occupare la restante parte meridionale del Paese, incluse Odessa e Nicolaev, tagliandone l’accesso al mare e stabilendo una connessione diretta con la Transnistria, dove c’è anche un’altra popolazione russofona oppressa. La seconda scuola, alla quale appartengo, obietta che questo richiederebbe molte più risorse, prolungherebbe la guerra e renderebbe più difficile per l’Ucraina e l’Occidente accettare l’occupazione russa del Sud». Lo spiega Dmitrij Suslov, che dirige il Centro di studi europei e internazionali presso la Scuola superiore di Economia, uno dei pensatoi del Cremlino.
E cosa proponete in alternativa?
«Che dopo la vittoria in Donbass dovremmo concludere un accordo di pace con l’Ucraina, basato sui termini della nostra offerta originaria: neutralità, cioè rinuncia alla Nato; demilitarizzazione inclusi limiti alla cooperazione strategica con l’Occidente e al tipo e quantità di armamenti in possesso dell’esercito ucraino; status della lingua russa; bando dei partiti di estrema destra nazionalista; riconoscimento ufficiale dell’annessione della Crimea e dell’indipendenza del Donbass. Odessa e Nikoalev rimarrebbero ucraine e i russi si ritirerebbero dal territorio di Kherson, attualmente occupato. Dal nostro punto di vista, se la vittoria russa in Donbass è inequivocabile, sarà più facile per Kiev accettare l’accordo. L’alternativa sarebbe il proseguimento dell’offensiva militare e ulteriori perdite territoriali. Così invece l’Ucraina non perderebbe nulla rispetto allo status quo in atto dal 2014».
Che ruolo avrebbe l’Occidente nell’intesa?
«Ovviamente l’Occidente dovrebbe accettare l’accordo, di cui sarebbe parte integrante una parziale abolizione delle sanzioni, e riconoscere le nuove frontiere. Noi pensiamo che sia interesse della Russia finire questa guerra vittoriosamente ma anche il più rapidamente possibile. La scuola massimalista invece non ha paura di una guerra protratta, non cerca alcun riconoscimento dall’Occidente, non pensa sia possibile abolire le sanzioni».
Gli Stati Uniti dovrebbero partecipare al negoziato?
«Dovrebbero esserne implicitamente parte, riconoscere l’accordo e quindi riconoscere la Crimea russa e il Donbass indipendente. Dire pubblicamente che Kiev non sarà mai parte della Nato. Senza questo non potrà esserci accordo».
Se prevalesse la seconda scuola, sarebbe necessario un vertice Biden-Putin?
«Non è garantito al 100% che questo accada, ma anche in quel caso un vertice sarebbe difficile immaginarlo. Ci vorrà tempo perché i rapporti tra Mosca e Washington riprendano un dialogo su temi come controllo degli armamenti, sicurezza europea, regole d’ingaggio. Non ho dubbi che succederà, nessuno vuole la Terza Guerra Mondiale. Ma non sarà domani. E nei prossimi mesi, la frontiera Russia-Nato raddoppierà con l’ingresso di Finlandia e Svezia».
Voi come reagirete?
Abbiamo già detto che se entrano, risponderemo puntando armi nucleari anche contro di loro».
Due mesi fa, lei mi ha detto che l’Ucraina sarebbe implosa e che obiettivo dell’azione russa era il «regime-change» a Kiev. È andata diversamente. Cos’è successo?
«Non c’è dubbio che il cambio di regime fosse nei piani originali dell’invasione. Non ha funzionato. E oggi non è più considerato perseguibile dalla Russia. L’assunzione iniziale, che l’Ucraina sarebbe crollata come un castello di carte senza opporre resistenza, si è rivelata errata. L’esercito ucraino ha opposto una resistenza impressionante, aiutato massicciamente dall’Occidente. Direi che questa è la ragione principale della capacità di resistere così a lungo. L’esercito russo non sta combattendo contro l’Ucraina ma contro la Nato, che non solo consegna armi e munizioni, ma fornisce informazioni preziose di intelligence».
Non era prevedibile?
«Non saprei dire. Certo, ci sono state molte cose che la Russia non ha visto in anticipo, per esempio il livello delle sanzioni. Il premier e il ministro degli Esteri dissero chiaramente che non potevano neppure immaginare il congelamento delle riserve di valuta della Russia all’estero, cosa che è puntualmente successa. Oppure l’esclusione dallo Swift. Probabilmente c’è stato anche un errore di calcolo sulle dimensioni della reazione militare dell’Occidente in aiuto dell’Ucraina. Oggi sappiamo che gran parte del fuoco ucraino viene organizzato e puntato dagli occidentali. Detto altrimenti, è la Nato che spara sulle truppe russe, attraverso le sue armi operate dagli ucraini».
Si discute molto in questi giorni sulla consegna di armi pesanti, come carri armati, alle forze ucraine. Cosa cambierebbe?
«Ci sarebbe un cambiamento sostanziale nell’atteggiamento della Russia. All’inizio era un conflitto per Ucraina. Ma ora è una guerra per la Russia. In ballo è la sopravvivenza della Russia come grande potenza e il suo status negli affari internazionali. Tutti in Russia sono convinti che stiamo combattendo una guerra contro l’Occidente. Non c’è altra opzione che la vittoria. Se perdessimo, sarebbe peggio della fine dell’Urss nel 1991. Ecco perché l’impatto delle armi fornite a Kiev e della retorica occidentale è già stato di alzare la posta in gioco, trasformando la natura della guerra. Ora non possiamo perdere».
Sta evocando il rischio di un conflitto nucleare?
«Non ho detto questo. Ho detto che dobbiamo assolutamente vincere in Donbass, che sarà presentata come una vittoria sull’Occidente visto il suo alto grado di coinvolgimento al fianco dell’Ucraina. Manderemmo al mondo il messaggio che la Russia è ancora una grande potenza militare. A questo stadio, pensiamo che le armi convenzionali saranno sufficienti allo scopo. Dubito che la Russia prenderà in considerazione l’uso di armi nucleari, che potrebbero invece essere agitate come minaccia nel caso di un’escalation a livello Nato-Russia».
[di Paolo Valentino – tratto da Corriere della Sera]