Selma Lagerlὅf, Bandito, Iperborea 2022, pp. 320, trad. Luca Tapparo
“Anni fa, sull’isola di Grimὅ, nell’arcipelago occidentale della Svezia, vivevano un marito e una moglie molto diversi tra loro”: la Lagerlὅf (1858- 1950) ci porta subito in una dimensione di fiaba, come è nel suo stile, in una storia che sembra collocata fuori del tempo, dove rimane la leggerezza del linguaggio, né manca l’aspetto visionario, magico.
Sull’isola lui lavora i fazzoletti di terra sparsi tra i grandi lastroni di roccia, lei lo avrebbe voluto uomo di mare. Hanno un figlio, Joel, stesso nome del padre, ed uno più grande, Sven, che è stato cresciuto da una coppia inglese che lo ha fatto studiare e lo nominerà erede. E’ partito a otto anni e ne sono passati diciassette senza che si sia più fatto vivo.
Il marito legge sul giornale di una spedizione inglese appena tornata dal Polo Nord, il cui equipaggio era rimasto bloccato per un anno intero tra i ghiacci tanto che per fame il personale aveva finito per mangiare le cinghie di cuoio e si era cibato addirittura di un compagno morto. Tra i sopravvissuti c’era anche Sven che i genitori adottivi non vogliono più in casa, in quanto reo di cannibalismo. Così lui torna a Grimὅ.
Ha una vita molto difficile perché chiunque scopra la sua storia ne prende le distanze, anche il pastore della chiesa locale e tutta la comunità informata, salvo rare persone che si astengono dal giudicare. Inutile per lui, buono di natura, darsi da fare per la comunità. Anche se sono apprezzati certi interventi coraggiosi che ne evidenziano sensibilità, intelligenza, spirito di sacrificio, deve adattarsi a vivere bandito dalla società.
La sua strada si intreccia casualmente con quella di una giovane, Sigrun, che è arrivata, sposa del pastore, da un villaggio boscoso più a nord, e si intristisce nella distesa che la circonda: “Intorno alla chiesa si estendeva qualcosa che si vede raramente nel Bohuslan, ovvero una pianura molto uniforme e aperta. Non proprio vasta, ma neanche tanto piccola. Non grande al punto da non arrivare a vedere da un capo all’altro e non sapere cosa succede ai vicini, ma neanche tanto piccola da non esserci abbastanza posto, oltre che alla chiesa e la canonica, anche per una dozzina di fattorie”.
Sulla sua strada incontra anche Lotta, che è stata compagna di catechismo di Sigrun, donna con capacità visionarie, che “porta messaggi dai morti ai vivi”, che si muove per raggiungere la giovane sposa perché ha capito che è infelice.
La figura del marito di Sigrun, il parroco del luogo, apre ad una storia di gelosie, di violenza e di maledizioni che aleggia intorno ai suoi avi, gente feroce, gelosa, proprietari di una vasta fattoria, Hänger, rimasta macchiata da eventi sanguinosi e disabitata. C’è mistero e magia intorno: a qualcuno appare come in una visione una fattoria con una vecchia affacciata alla finestra, un grande meleto, ed il pilastro fatiscente di un cancello. Perché è instabile il pilastro?
I personaggi si incontrano, si allontanano e si perdono, ma tutto è legato. Le loro storie si incastrano l’una nell’altra, come per volontà del destino.
Un romanzo che ricorda il romanticismo gotico, dove l’amore possessivo e la gelosia portano verso la distruzione dei rapporti, bruciano la libertà di essere se stessi con la gioia di vivere, fanno desiderare la morte.
La libertà si cerca con inganni tragici, il bisogno di libertà fa di Sigrun una donna determinata e forte come non è mai stata, capace di annullarsi, di non esistere.
Sven l’ha amata fin dal primo momento che l’ha vista piangere su uno scoglio e le ha fatto scoprire il mare poco lontano. Ma lui ha sposato una maestra, brutta, una delle poche persone che non provava repulsione per il suo peccato, e che sapeva amarlo. La coppia è al centro di una storia di amore e morte, terribile ed emozionante, dove la bontà si accompagna al sacrificio.
All’improvviso il romanzo trova una collocazione in piena prima guerra mondiale, con immagini di morti galleggianti sul mare, dritti nei loro salvagenti sballottati dalle onde, con le orbite svuotate dai gabbiani. La pietà e l’orrore davanti a quei morti rafforzano la consapevolezza della preziosità della vita, della importanza di dedicarsi ai vivi: la violenza contro i vivi in una guerra, è peggiore della violenza contro un morto.
Ma dove e come vive Sven dal sorriso paziente, mite, indulgente? Il destino vuole che incontri di nuovo Sigrun? C’è possibilità di un futuro insieme? Si adatteranno a vivere nascondendo una drammatica verità o Sigrun, che è diventata il fu Mattia Pascal pirandelliano, troverà il coraggio di chiarire tutto? Sven ha davvero partecipato all’atto di cannibalismo? Lui continua ad agire dovunque spinto da spirito di carità e di amore per il prossimo: “la tua mano è benedetta, perché hai aiutato tanta gente”.
Hänger è un ambiente dove trionfa la luce e la bellezza di un “paesaggio incredibilmente bello, disegnato con delicata finezza”, con dieci crinali e dieci laghi che si adornano della luce del tramonto, ma la maledizione che vi pesa è che tutti i suoi uomini debbano morire di morte violenta o suicidi. Edvard, il pastore marito di Sigrun, appartiene a quella dinastia.
Il lettore rimane in attesa che un gesto, un rifiuto, una consapevolezza interiore finalmente raggiunta, interrompano questo destino, che la maledizione si sciolga insieme a quella vecchia alla finestra sempre a fissare il pilastro instabile del cancello.
La Lagerlὅf si cala nei meandri dell’animo umano, con tutte le passioni, con tutto il bene e il male che contiene. Che può far sprofondare dentro voragini di perdizione. Tuttavia prevale una visione della vita fondamentalmente aperta alla fiducia, con la scelta e il trionfo della verità, della giustizia, del bene.