19 Dicembre 2024
Sun

Valentina Parisi, Una mappa per Kaliningrad. La città bifronte, Exorma 2022, pp. 264

Suo nonno è stato prigioniero in un campo di lavoro tedesco dopo l’8 settembre 1943; è stato liberato dall’Armata Rossa ad aprile ’45 ed è tornato a casa dopo sei mesi viaggiando verso est e sud invece che a ovest, perché in Germania i collegamenti ferroviari erano distrutti.

Era uno delle migliaia di IMI, Italienische Militär-Internierte (internati militari italiani), soldati del regio esercito che non erano passati alla Repubblica di Salò. Rastrellati dai tedeschi, andarono a colmare la mancanza di manodopera delle loro fabbriche, senza che fosse rispettata la Convenzione di Ginevra del 1929, per cui dovevano essere trattati come prigionieri di guerra e passare sotto la tutela della Croce Rossa. Venivano convogliati nei lager da tutti i paesi occupati. Fu il destino anche di mio padre, catturato in Grecia il 9 settembre 1943.

Così Valentina Parisi va sulle tracce del nonno, nel campo di Stablack, Stalag 1A, alla periferia della città un tempo prussiana di Konisberg.

Ma Konisberg non esiste più, i Russi che l’hanno occupata hanno raso al suolo tutto quello che era sopravvissuto ai bombardamenti alleati del ‘44, e non hanno mantenuto niente che facesse ricordare il nemico tedesco responsabile dei loro caduti.

Così la bella città di Immanuel Kant e Anna Harendt, espressione della cultura e della architettura dell’occidente, fu sostituita da anonimi casermoni grigi con un preciso progetto di sovietizzazione, con un mastodontico palazzo del Soviet mai finito, scomparsa anche la casa di Kant di cui esiste solo un modellino in scala conservato nel Municipio.

La nuova città svuotata dei suoi abitanti fu riempita di gente fatta arrivare da ogni parte del vasto territorio dell’Urss, gente che trovò nelle abitazioni i segni di un tenore di vita mille miglia lontano da quello da loro conosciuto.

E’una posizione importante quella di Kaliningrad, che si affaccia sulla laguna dei Curi separata dal Mar Baltico da una lunga e stretta penisola: Già Stalin alla conferenza di Teheran del 1943 affermava che “un porto che non geli d’inverno sul Mar Baltico è la nostra unica rivendicazione territoriale”, senza dimenticare di aggiungere, a proposito della Prussia, che “si tratta di terre da sempre slave”! Perciò la conquista del ’45 era una “legittima aspirazione storica, un meritato ritorno a casa”. Tutto questo è stato supportato da fantasiose documentazioni.

Intanto “Il confine con la Polonia fu ritoccato, ci pensarono informalmente le truppe sovietiche scendendo sempre più a sud e annettendo un villaggio dopo l’altro. Uno scherzo non troppo lontano dal vero sosteneva che un polacco poteva rientrare la sera dopo il lavoro e scoprire che la sua casa nel frattempo era entrata a far parte dell’Urss.” Dopo aver rosicchiato tanto, Mosca chiese la ratifica dei confini a danno della Polonia, nel 1957.

Ultima città occidentale verso est era la tedesca Konisberg, in una Prussia separata dal resto della Germania dal disgraziato corridoio di Danzica; ultimo avamposto russo verso l’occidente è ora Kaliningrad.

Konisberg, città occupata, di gente cacciata dalla propria terra e trapiantata altrove- le displaced persons– fa riflettere sulle rivendicazioni e sulle operazioni militari russe in corso in Ucraina, e su altri eventi simili: basta pensare ai nostri profughi istriani o ai palestinesi che si sono visti occupare case e poderi dopo la proclamazione dello Stato di Israele.

Il bagaglio degli esuli tedeschi, con tutto ciò che apparteneva alla loro vita, non doveva superare sedici chili di peso.

“La Konisberg dell’aprile del 1945 era una città di donne violentate, di orfani, di prigionieri di guerra delle più svariate nazionalità che non sapevano come fare per tornare a casa, di vincitori impegnati a consumare una vendetta che difficilmente li avrebbe ripagati dei torti subiti”, scrive la Parisi. Dove tuttavia scattava in qualcuno degli invasori l’istinto di fare del bene, magari quello di curare le ferite dell’ippopotamo dello zoo, l’unico sopravvissuto ai cannoneggiamenti.

Molto tempo dopo, persone anziane sono andate a cercare la propria casa nella Konisberg dei loro ricordi: “ritrovare la città dell’anteguerra era anche quanto si auguravano i pensionati tedeschi che all’inizio degli anni Novanta si recavano in pellegrinaggio a Kaliningrad. Gli esuli della Prussia orientale se n’erano andati da bambini, stringendo la mano della mamma o un lembo della sua sottana e vi tornavano quasi vecchi, più di mezzo secolo dopo. La bestia comunista nel frattempo era schiattata e l’exclave russa che le era sopravvissuta si aggrappava all’Heimswehtourismus, il turismo della nostalgia, per sbarcare un lunario impossibile. In mancanza di meglio, incerta sul futuro. Kaliningrad si reinventava Konisberg.” .

Non è facile il viaggio della Parisi, la aiuta solo una vecchia cartina di Konisberg. Del passato sono rimaste le rovine  della cattedrale, non distrutta  solo perché conserva i resti di Kant.

Del passaggio del nonno da Stablack non ci sono tracce, ma rimane una targa per i meno fortunati che non hanno fatto ritorno: A ricordo degli italiani che persero la vita nel lager Stalag 1A Stablack: militari che non vollero rinnegare il giuramento prestato e civili che non vollero collaborare. Pur consapevoli dell’estremo sacrificio. 1943-1945.

Il libro di Valentina Parisi, traduttrice dal russo, attualmente assegnista di ricerca in letteratura russa presso l’Università di Pavia, collaboratrice alle pagine culturali de il manifesto e AliasD, ci porta fisicamente nei luoghi, tra la gente, recupera letteratura, filosofia, arte, architettura, e soprattutto ricostruisce tappe della nostra Storia con una documentazione ampia e precisa. Ogni passo è una scoperta e un’emozione, il linguaggio ha la chiarezza e la semplicità di un pensiero supportato da una solida formazione. Le foto in bianco e nero del passato e del presente acquistano la forza stessa delle parole.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.