Addio Gorbaciov
MOSCA, 31 AGO – “Questa sera, dopo una grave e prolungata malattia, Mikhail Sergeyevich Gorbaciov è morto”. Poche, scarne parole, per sancire la definitiva uscita di scena dell’uomo che come pochi altri ha segnato i destini dell’umanità sul finire del Ventesimo secolo, con conseguenze che in qualche modo continuano a ripercuotersi sul drammatico momento che l’Europa sta vivendo, con il nuovo scontro fra la Russia e l’Occidente.
Il comunicato emesso in nottata dalla Clinica ospedaliera centrale di Mosca dà conto della scomparsa dell’ultimo leader sovietico, ma la sua uscita dalla scena politica e anche dalla memoria delle nuove generazioni, in Russia così come all’estero, era cominciata da decenni, ed era diventata quasi totale negli ultimi due anni. Da quando cioè Gorbaciov, ormai un fragile ultranovantenne malato, era stato costretto ad un pellegrinaggio da un ospedale all’altro, e poi al quasi totale isolamento anche a causa della pandemia da Covid. L’ultima volta che aveva fatto sentire, indirettamente, la sua voce, era stato all’inizio di marzo, due settimane dopo quella che a Mosca è chiamata l’operazione militare speciale in Ucraina. A riferire le sue parole era stato il Premio Nobel per la pace Dmitry Muratov, che lo aveva visitato in clinica. “Non sta bene – aveva detto Muratov – ma mi ha detto che bisogna fare quanto possibile per fermare la minaccia di una guerra nucleare”.
Era ancora quella, dunque, la preoccupazione dell’uomo che della distensione con l’Occidente, insieme con le riforme interne all’Urss, aveva fatto la bussola della sua azione di governo, dopo essere arrivato nel 1985 alla guida di un gigante malato, in cui il velo sottile dell’ideologia non poteva più nascondere gli sconquassi di un sistema minato alle fondamenta. La sua ricerca di migliori relazioni con gli Usa e l’Europa occidentale, e gli accordi per la riduzione dell’arsenale nucleare con il presidente Usa Ronald Reagan, lo avevano reso un idolo dei governi e delle opinioni pubbliche straniere, oltre che fargli ottenere il Premio Nobel per la pace. In Occidente avevano preso a chiamarlo Gorby e a lui era stata dedicata una canzone da discoteca. Al suo fianco, a confermare la sua immagine rassicurante, era sempre presente la moglie Raisa, popolare quanto lui. E accanto a lei l’ex leader verrà sepolto, come lasciato scritto nel testamento, nel cimitero di Novo-Dyevitchiye.
Ma sul piano interno Gorbaciov non ha avuto altrettanta fortuna. Per molti russi era l’uomo che proprio con le sue riforme aveva portato al tracollo non solo di un regime repressivo, ma anche di un Paese che proprio sotto l’Urss aveva raggiunto la sua massima potenza e poi si era dissolto per lasciare spazio all’avvento della Russia ultraliberista dell’era Eltsin, quando le condizioni economiche di gran parte della
popolazione si erano deteriorate a livelli drammatici e l’economia era finita in mano ad affaristi senza scrupoli e gruppi criminali. I sondaggi condotti fino a due anni fa dal Centro Levada, un istituto statistico russo indipendente, davano Gorbaciov tra gli ultimi posti nella classifica dei personaggi russi più ammirati in patria mentre svettava in cima alla graduatoria Stalin. Potere della nostalgia.
Proprio il senso di disfatta e la paura del caos generata in quegli anni sono stati tra i motivi che hanno consentito a Vladimir Putin di raccogliere vasti consensi, presentandosi come il leader che ha saputo riportare ordine nelle strade, benessere economico e un nuovo orgoglio per la grandezza russa. Almeno fino all’inizio dell’operazione in Ucraina, che ha portato al ritorno della guerra fredda che Gorbaciov aveva fatto di tutto per finire. Putin è stato il primo a reagire, inviando alla famiglia del defunto “le più profonde condoglianze”. Anche a lui l’ultimo leader sovietico lascia in eredità il suo monito: “Fare di tutto per evitare un conflitto nucleare”.
[tratto da ANSA – di Alberto Zanconato]