Kader Abdolah, Il faraone d’Olanda, Iperborea 2022, pag. 288, €17,50. Traduzione di Elisabetta Svaluto Moreolo.
Quando si apre un romanzo di Kader Abdolah siamo pronti a ritrovare le atmosfere che lui ha sempre creato riportandoci in Iran, il paese da cui è dovuto fuggire dopo l’avvento di Khomeini, perseguitato dal suo regime come già quello dello scià Reza Pahlavi, poi rifugiato politico in Olanda nel 1988.
Questa volta, dopo tanti anni di lontananza e dopo essere diventato un importante scrittore in lingua olandese, Kader Abdolah non fa riferimento al suo Paese, bensì all’Egitto, e racconta una storia che tende a sfumare nel giallo ponendovi in mezzo due anziani: sognatori, talora leggeri come il fumo, non conoscono il tradimento e sono legati da una amicizia salda, consolatoria.
Si tratta di un famoso egittologo olandese, Herman Raven, conosciuto con lo pseudonimo di Zayed Hawass, che tanti anni ha trascorso tra le tombe dei faraoni quasi a fare dell’Egitto la propria terra, e Abdolkarim Qasem, non originario d’Olanda, che invece ha sempre lavorato in una lavanderia.
Zayed ha una figlia sposata e dei nipoti che lo vengono a trovare e giocano con lui; Qasem è divorziato ma in rapporti di amicizia con la ex: hanno un figlio che sta per andare negli Usa.
Si deve aggiungere che l’egittologo ha perso la memoria, ossia lampi di lucidità vanno e vengono, così gli può capitare di perdersi quando va a passeggio lungo i canali dell’Aia, o raggiunge a piedi l’abitazione dell’amico. Lo riportano sempre a casa grazie a un cartellino di riconoscimento al collo. Qasem è il suo braccio destro e la sua memoria, è lui che gli raccomanda continuamente di scrivere ogni appuntamento sul taccuino. “Insieme a te non temo la morte” ripete l’egittologo all’amico.
Qasem ama leggere e rileggere la storia di un ladro che si muove tra le strade del Cairo ed entrambi curano un orto dietro casa, l’angolo di colori e profumi che ricorda a Qasem gli orti sul Nilo: lui è cresciuto sul fiume ed ha temuto i coccodrilli quando andava a bagnarsi con gli altri bambini, e si proteggevano a vicenda. Ricordi lontani, senonché da tempo i coccodrilli gli tornano nei sogni.
Secondo l’idea trasversale al romanzo, che “tutti torniamo al luogo da dove siamo venuti”, ecco che si sviluppa il tema centrale: una mummia custodita in un sarcofago, nella cantina di Zayed, un luogo aperto solo a lui e all’amico, deve essere riportata in Egitto: Merneith -amata dal Nilo- l’unica donna che aveva regnato giovanissima accanto al padre, il faraone Tolomeo che non aveva figli maschi.
Non è stata trattata male questa dea, perché riposa- sia vera o falsa la sua mummia- in una cantina mirabilmente affrescata con geroglifici dallo stesso Qasem. I familiari ne sono all’oscuro.
Intanto i due vecchi contattano il direttore del Museo di egittologia e l’ambasciatore egiziano, non si arrendono davanti a nulla, sicuri, decisi, irremovibili anche se vengono scambiati per due pazzi, tra una smemoratezza e l’altra, con spunti di comicità gentile, in un alternarsi di interventi di aiuto che fanno tenerezza, di quelli che ormai l’umanità rischia di dimenticare.
Il tempo da vivere si assottiglia e l’opera deve essere portata a termine. Chi ha trafugato la mummia? In che modo? Di chi sono le responsabilità? E’ tutto un falso, una colossale messa in scena? Qualcuno riuscirà a tornare in Egitto, terra di studi per Zayed e terra natale per Qasem?
Kader ha affrontato il tema della nostalgia ancora una volta, perché poco basta, per chi legge, per mettere l’Iran al posto dell’Egitto, e Kader stesso al posto dell’egiziano Abdolkarim Qasem.
Il tema della lontananza compare con la figura del figlio che va negli Usa per lavoro: a tutti i genitori dispiace un po’ quando i figli se ne vanno, ma lavorare lontano fa bene, fa crescere e si può ritornare, prima o poi. Altro è l’esilio.
La promessa che i due anziani si scambiano – qualsiasi cosa possa succedere ad uno di loro, la mummia deve tornare a casa- a livello simbolico risulta un obbligo morale da cui non si può prescindere: il mio Paese mi aspetta. Devo tornare.
Ma è’ giusto andare “fino al limite del desiderio”? Come nei versi di Rainer Maria Rilke: “Quando Dio creò l’uomo, gli si rivolse con queste parole: va’ fino al limite del tuo desiderio./Incarnami”.
Quale Paese si troverebbe tornando? Meglio continuare a vivere in terra straniera, quella che nel dolore ti ha adottato, che ti ha permesso di vivere libero mentre spingevi sempre più giù il peso della nostalgia, o perdere di nuovo tutto, anche la vita?
Ma non è questa la domanda che troviamo tra le righe.
Uno dei due anziani torna in Egitto con le chiavi in tasca per aprire una vecchia casa -le chiavi in tasca, oggetti identificativi di tutti coloro che hanno lasciato la propria Terra.
Ci sono ancora i coccodrilli del Nilo da scacciare battendo un bastone sulle latte vuote.
Nel desiderio struggente di far rivivere il passato, quando l’anziano vede una lattina luccicante la raccoglie con un gesto spontaneo e ritrovato: “proseguendo sul sentiero che portava la fiume, iniziò a percuoterla con un bastone. Il suono sembrava provenire dal lontano passato”.
Tornare alla propria terra ha un valore sacro che il sole scandisce, quasi una presenza divina: “attraverso l’ampia finestra del soggiorno, irruppe il sole, l’antico, potente sole dell’Egitto: era Ra, il dio del sole in persona, che (gli) illuminava il volto”.