Non abbiate paura…
Non è facile costruirsi un Pantheon quando devi escludere l’intera area che va da Che Guevara a Madre Teresa, già appannaggio di una sinistra onnivora in materia di ideali. Anche perché sennò «fàmo le tre», e già «sto a morì», come garbatellianamente il/la premier ha sussurrato a voce bassa ma a microfoni accesi. Così l’abituale elenco dei grandi ispiratori, in cui di solito i politici meno colti sono e più indulgono, stavolta si è ridotto all’osso.
Si potrebbe quasi dire che hanno fatto più notizia quelli che non ci sono, nel Pantheon di Giorgia Meloni. E non c’è soprattutto Berlusconi, mai nominato, infilato anonimamente nei ringraziamenti «ai partiti della coalizione di governo e ai loro leader». Per lo «sdoganatore» della destra nazionale, e inventore del centrodestra, un’espulsione che pesa, forse persino un po’ ingenerosa.
Ci sono invece con nome e cognome Sergio Mattarella e Mario Draghi, rispettivamente il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio contro cui lei ha sempre votato da sola, ma ai quali riconosce l’impegno, «anche internazionalmente», di favorire una transizione ordinata, come si addice a una «grande democrazia».
Ma per declinare a modo suo le più attuali questioni su cui la destra è attesa al varco, Giorgia Meloni ha ingegnosamente fatto ricorso a tre grandi nomi del cristianesimo.
La prima è l’Europa, risolta con un: «Siamo eredi di San Benedetto». Il riferimento al santo di Norcia, traghettatore della classicità greco romana nel Medioevo di origine giudaico cristiana, è infatti perfetto per dire: l’Europa di cui lui è patrono è quella che a noi piace, perché è nata in Italia e nei monasteri, non a Bruxelles o nei mercati. È la «casa comune dei popoli europei»; ma «uniti nella diversità, portando ciascuno la propria identità». Abbozzi di un nazional europeismo tutto da costruire.
La seconda caldissima questione è stata invece «battezzata» con una citazione di papa Francesco: «La povertà non si combatte con l’assistenzialismo, la porta della dignità di un uomo è il lavoro». Sistemando così il reddito di cittadinanza e annunciandone la riforma, perché finora è stato «una sconfitta per chi era in grado di fare la sua parte per l’Italia, oltre che per se stesso».
La terza questione, ancor più delicata per chi come lei viene da una tradizione politica non liberale, è quella della libertà. Invocata più volte a gran voce, anche per garantire che non «saranno ridotte quelle esistenti» sui diritti civili e sull’aborto; ma aggettivata, specificata, precisata, per distinguerla dalla «licenza». Ricorrendo a una formidabile frase di Giovanni Paolo II, per il quale «la libertà non consiste nel fare ciò che ci piace, ma nell’avere il diritto di fare ciò che si deve». Il che — oltre a far fuori la liberalizzazione della cannabis — annuncia lo stile politico cui la premier s’impegna: pronta anche a perdere le prossime elezioni, pur di «non indietreggiare, non gettare la spugna, non tradire» il compito che si è assegnato di risollevare la Nazione.
La risposta di destra a Greta Thunberg, invece, è il filosofo Roger Scruton, citato per ascrivere ai conservatori la vera «ecologia» e per contrastare «un certo ambientalismo ideologico»: «Ce ne occuperemo — ha detto — perché è l’esempio più vivo dell’alleanza tra chi c’è, chi c’è stato e chi verrà dopo di noi».
Per finire, e per dire ai giovani che già manifestano contro il governo che li capisce perché anche lei ha passato nelle piazze la sua gioventù, ha perfino corretto Steve Jobs, aggiungendo al celebre appello «siate affamati, siate folli» un «siate liberi», che nel suo sottotesto significa: non lasciatevi ingannare dalla propaganda della sinistra.
E però, se proprio vogliamo trovare nel discorso di Giorgia Meloni un vero nume tutelare, un modello che ne incarna l’universo morale e ideale, ebbene quello è Paolo Borsellino. L’alfa e l’omega di una carriera politica, almeno fin qui. Il giudice il cui assassinio per mano della mafia la spinse a iscriversi al Fronte della Gioventù e a far politica a 15 anni. E anche l’uomo la cui foto ha trovato in cima allo scalone di Montecitorio subito dopo aver letto la lista dei ministri, quasi come se «si chiudesse un cerchio». Nel nome della lotta alla mafia, anzi, la nuova premier ha forse trovato l’unità più ampia dell’assemblea di Montecitorio; ha citato tra le vittime anche un capo comunista come Pio La Torre, e ha ottenuto applausi anche dai banchi della sinistra.
Può essere che in fin dei conti qualcosa che ancora unisce il Paese sia rimasto. Starà a Giorgia Meloni dimostrare di volerlo e saperlo trovare.
[di Antonio Polito – da Il Corriere della Sera]