Alessandra Favilli, Terra degli orsi, Carmignani Editrice 2022, pag. 182, € 15,00
Anna, Silvia, Lisa, tre nomi femminili che si alternano nel bel romanzo di Alessandra Favilli: la prima è la trisnonna della seconda, Lisa è un’orsa di quelle reintrodotte dalla Slovenia nel Trentino in seguito alla estinzione dell’orso bruno sulle Alpi: “Il taglio sempre più esteso dei boschi, l’avanzare inesorabile dei pascoli e delle coltivazioni, l’orso costretto a rifugiarsi sempre più in alto, sempre più in fondo, e l’epopea dei cacciatori, piccoli eroi di quelle valli, che a suon di schioppettate sterminavano le temutissime belve, tutto ciò assumeva, nelle parole dell’uomo, il timbro di una tragedia popolare narrata a veglia”.
Dottoressa in Biologia, deve rimanere un anno soltanto, Silvia, vincitrice di un bando di concorso per il monitoraggio degli orsi nel Trentino, nella Val Rendana, in un paesino di circa cinquecento abitanti, lei abituata alla luce del mare di Boccadarno e alla città.
Dai colleghi sa che lì “si lavora anche dopo il tramonto, quando gli orsi si muovono di più perché non c’è nessuno in giro a rompergli le balle”, e devono essere controllati con il radio cellulare perché non passino il confine e non si avvicinino alle abitazioni. Il tempo di addestramento a fianco di un collega, poi rimane sola in macchina di notte nei boschi a seguire il bip bip che manda Lisa, come una madre che controlla un figlio, che non corra pericoli.
Gli orsi sono amici del vento: “Nella terra degli orsi, il vento non è solamente aria di corsa. E’canto, sussurro, richiamo, consiglio. Voce che annuncia tempesta, turbine che ammucchia la neve e disperde le foglie…mette in guardia dalle minacce, ne svela gli indizi”. Non tutti sono d’accordo sull’inserimento di queste splendide creature nel parco, benché portino benefici in termine di immagini e di turismo, e c’è chi cerca di liberarsi da quelle “bestiacce” minando anche le sicurezze di Silvia.
Ma questa vita la conquista e gli orsi entrano a far parte di lei, ora che finalmente capisce il senso di “salvaguardia dell’ambiente”, di “difesa della biodiversità”, di “tutela dei diritti degli animali”, frasi che prima le erano sembrate sospese in aria.
Ha idee chiare anche sulla vita privata e sceglie secondo i suoi principi etici e la passione. Somiglia in questo alla trisnonna Anna -classe 1869- che lei conosce solo da una vecchia foto in bianco e nero, ma di cui ha sentito molto parlare in famiglia. Nata negli anni in cui si era fatta l’Italia -così come due fratelli maggiori – quando la donna non era “padrona di niente” e niente poteva decidere, Anna aveva ricevuto dal padre un esempio di apertura verso il nuovo, di spinta a lottare: “Di niente le son padrone le donne. Tu però devi impegnarti a cambiare le cose”. E aveva dedicato la sua vita al conseguimento della giustizia, a difendere e aiutare donne sfruttate, sole, deboli, anche a costo della propria sicurezza personale, senza considerare le critiche dei benpensanti, uomini e donne, che non vedevano decoroso che una signora della borghesia svolgesse un lavoro artigianale e si occupasse della alfabetizzazione delle donne povere. Ma a lei avevano insegnato che l’ignoranza è il peggiore dei mali, e se “tanta gente arriva a capire le ingiustizie e a porvi rimedio”, questa è la strada per realizzare una maggiore uguaglianza sociale.
Anna voleva battersi per le donne, Silvia si batte per Lisa, si batte per salvare e conservare le cose belle, perché “se il mondo le cancella non si può vivere felici”.