Luciano Luciani, Rossa e plebea. Pisa, mezzo secolo fa. Carmignani Editrice 2022, pag. 140, € 15,00.
E’ una notte d’autunno del ’72 quando verso mezzanotte arriva in treno alla stazione, in una piazza semiallagata da un temporale, attraversata solo da un topo di fogna fuggiasco, con una laurea in Lettere Moderne fresca in tasca e tanti sogni. A cinquant’anni dal suo arrivo a Pisa – provenienza Roma – Luciano Luciani si racconta.
Insegnava già a Roma nei Centri di Formazione Professionale, “un settore già incoerente per la pluralità di soggetti che vi operavano, -enti pubblici e privati, religiosi e sindacali; assistenziali e di pura speculazione” in fase organizzativa in tutte le regioni”. Chiesto il trasferimento per motivi “di lavoro e altro che sarà indicato a tempo debito”, si trova a ricoprire una inattesa figura di “coordinatore pedagogico” tra gli operai della Piaggio di Pontedera: “passavo dalla classe operaia dell’asse industriale Roma-Latina, figlia dell’assistenzialismo della Cassa del Mezzogiorno, clientelare e che votava a destra, ai solidi e politicizzati proletari nel cuore rosso della Toscana”.
Lo attende un percorso a ostacoli, a cominciare dai locali inadatti, ai pochi desiderosi di formazione, agli imprenditori che mal sopportavano le ore di assenza degli operai, in una città rossa dove comunque “la parte bianca di parrocchie, associazioni cattoliche, circoli Acli” e un vasto servizio offerto dagli asili delle suore, confluiva nei corsi di formazione, con “gli aclisti tradizionali che serravano le file” per evitare uno scivolamento a sinistra. Iscritto già al PCI da qualche anno, per personale convinzione e per tradizione di famiglia, questo “mezzo comunista mandato da Roma”, capisce subito che si deve fare “prudente come un serpente e semplice come una colomba”, in un momento politico e sindacale delicato.
Il suo sogno di innalzare le sorti della classe operaia, di rendere le persone più consapevoli e quindi più libere, si concretizza nella realizzazione del progetto di una scuola popolare per preparare all’esame di licenza della scuola dell’obbligo, quanti, giovani e adulti, per i motivi più vari, ne fossero privi. Allora ce n’erano tanti che con la licenza media avrebbero fatto qualche passo avanti nel lavoro.
In affitto alla periferia di Pisa, località La Cella, zona popolare rumorosa di ferrovia e aeroplani in partenza e arrivo dal vicino aeroporto, trova comunque un “valore aggiunto” nella locale Casa del Popolo intitolata ad Antoni Gramsci, se non che i compagni che incontra, gente semplice, sono ben lontani da quelli della sezione di provenienza, nomi di un certo rilievo nella società romana. Ora quelle persone sono chiamate per nome e delineate con tratti precisi, oggettivi e affettuosi La sezione diventa la sua seconda casa, le Feste dell’Unità una occasione di incontri importanti e di relazioni sociali, nonché di scoperta della cucina toscana.
Quelli che vive a Pisa sono gli anni bui della nostra Storia, con le Brigate Rosse che usavano come strumento di lotta politica il sequestro di persona e il “processo proletario”, e le destre che si rafforzavano in Italia e nei paesi dell’America Latina.
Con le sue idee si attira a sempre più le antipatie dei “lavoratori cristiani di Pontedera”, ma la gioventù è la sua forza con tutte le possibilità ancora da scoprire. Lo aiuta anche la vicinanza di un nutrito gruppo di amici calabro-pisani, “tutti compagni, naturalmente”, uniti da “un’idea di socialismo ingenuo, prepolitico, sentimentale e non ideologico”, giovani che sapevano darsi anche al cazzeggio, al gioco, e non trascuravano affatto le presenze femminili numerose intorno a loro. Si sentivano amici, fratelli, compagni! “E quindi immortali, eterni…Per cui Pinochet e fascisti di qui e di là, Agnelli e Rumor, Nixon e Kissinger, a noi ci fate una sega, anzi una bella sega!”
Ciò che trascina nelle pagine di Luciani -che ha scritto libri di storia e antropologia del cibo, di Risorgimento e Resistenza, che collabora con testate locali e nazionali di carta e on line- è l’umorismo sempre presente, quel sorriso con cui guarda persone, ambienti, situazioni, riuscendo a coglierne gli elementi caratteristici e unici, per cui anche l’ambiente più squallido e le situazioni meno gradevoli appaiono meno squallidi e più gradevoli, quasi con la volontà di alleggerirne il peso. La sincerità con cui Luciani racconta i momenti più difficili anche a livello economico, la sua umiltà nell’accettare le proposte più inaspettate – sempre trasformate in una occasione di crescita personale -, ne delineano fin dalla giovinezza quella statura morale che lo contraddistinguerà sempre.
Anni di tribolazioni e di conquiste, di contatti umani tra i più svariati sia emotivi che formativi, di delusioni e di aperture, quelli pisani, su cui Luciani ritorna, a cena con gli amici, con leggerezza e strappando sorrisi. Se gli si chiede come abbia fatto a ricordare tante persone, tanti episodi particolari – quando si sa che la memoria negli anni seleziona e cancella- lui dice che sono stati anni importanti, di luci ed ombre, che hanno lasciato il segno. Ne conserva anche i sapori: un piatto di ribollita fumante lo riporta alla cucina delle donne pisane nelle lontane Feste dell’Unità.
Deve proprio riconoscere che “anche i Pisani sono esseri umani”! Del resto questo doveva essere il titolo che aveva in mente per il libro.
Quando finalmente il nostro laureato ottiene l’abilitazione e la prima supplenza, quale altro ambiente poteva accogliere questo comunista, se non “La Madonnina” alla periferia di Lucca, una chiesa con il Liceo all’ultimo piano? E un custode/sacrestano che lo accompagna e si fa il segno della croce ad ogni statua di Madonna, mentre salgono le scale