Riccardo Duranti, La metà dell’infinito, Edizioni ETS 2023, p. 104
“In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” (Giovanni 1:1, CEI): immediato il rimando alle parole di Giovanni, appena si legge di una scintilla primigenia che “si dirama/ si moltiplica e si diffonde”. Tutto è cominciato, scrive Riccardo Duranti, “con un balzo: /nel vuoto, nel silenzio”. Gli ostacoli non fermeranno il dilagare dell’energia creatrice.
Suddivisa in quattro sezioni, più l’Interludio. Piccola suite greca, la silloge è una conferma della importanza fondamentale della parola, per dare luce e senso alla vita.
Motivando More geometrico, Duranti riconosce che la sua vocazione alla traduzione e alla poesia nasce dal “senso del mistero provocato da una lingua altra” e dalla “tormentata relazione con la matematica “che gli ha fatto trovare rifugio nella poesia – Duranti è traduttore di tutta l’opera di Raymond Carver.
Contro il “linguaggio astratto e universale della matematica” i versi di Duranti racchiudono la ricerca continua del senso, sia pure attraverso il dolore: “A volte / un taglio netto all’Equatore / intercettato / da un paio di fendenti /meridiani /rivela del nucleo interno / del dolore /più di quanto si è disposti / a sospettare”. La realtà diffonde un disagio strisciante e “qualche inquietante anomalia”, le vicende umane sono “caotiche” e “in questo chiostro scuro/ vagano monaci a capo chino”; la verità verso cui si tende rimane elusiva e irraggiungibile, negata è la possibilità di “mettere a nudo / il cuore della pietra”. Maschere sono i volti dove gli “occhi /contraddicono il sorriso”.
Nello scorrere ineluttabile del tempo che un “angusto imbuto” inghiotte voracemente mentre la strada si accorcia, l’unica pietra sicura a cui appoggiarsi sono i legami costruiti, anche se l’assenza ha il peso di un macigno: “ci sono legami / infrangibili /anche se non c’è modo / di tenerli insieme”. Contro la “miccia lenta dell’abitudine” meglio andare alla ricerca di “ancore smarrite”, meglio galleggiare “libero alla deriva”: ancora un balzo, per sopravvivere e far sopravvivere i ricordi, accogliendo anche la nostalgia.
La parola di Duranti ci porta in mezzo ai colori dell’autunno, alla pioggia uggiosa dell’inverno, al crepitio di legna che arde nel camino, a cani e gatti, a cornacchie che “remigano calme / foriere di pioggia”, agli ulivi con l’edera che si arrampica sui tronchi, alla rosa sensuale e alle lucertole, in una “cadenza/ di luce piena e di erbe infestanti”, di nuvole bizzarre e grappoli di stelle.
In una silloge dove la materia, presente e viva, è pervasa da una profonda spiritualità e dalla consapevolezza della preziosità del tempo della vita – il sonno accelera il tempo, perciò è necessario vegliare -, si ascolta il vento – quasi simbolo di un soffio superiore -, arrivano i sogni a offrire una via di fuga, mentre nella solitudine consolatrice “chiamano gli uccelli” e “cantano i grilli”. Non è la perfezione, ma è una condizione possibile di vita: “verso la perfezione manchi solo tu”. Il balzo non basta ad annullare la distanza e a recuperare l’assenza: resta l’attesa fiduciosa di un Altrove che permetta di “riammagliarmi con te”.