“Il 4 maggio di tutti gli anni, a bordo della Fiat 1500 del papà, dopo avere comprato allo Zio un pacchetto di sigarette e una bottiglia di birra, parte insieme alla madre in direzione di Sabaudia. Tutti gli anni, come in questo 4 maggio”. Questo è Fabrizio, altrimenti Pennello, nel capitolo finale del romanzo di Marco La Greca. Un giorno da ricordare, che ha segnato una svolta venticinque anni prima.
Se hanno un soprannome significa che non passano inosservati i ragazzi della III F del liceo classico Orazio di Roma: di Pennello, Lele, Puddu, Grifo, conosciamo l’aspetto pubblico e quello privato, nell’anno dell’esame di maturità. Sono figli di famiglie borghesi nei “favolosi anni ‘80”, adolescenti con personalità non ancora definite, per questo si sentono adeguati adottando le scelte del gruppo: scarpe, felpe, jeans, giacchetti, devono essere esclusivamente di certe griffe; regolarmente si acquista erba e ci si fanno le canne, la sigaretta e la birra sempre vicini. Inevitabili gli eccessi del fine settimana e degli eventi speciali, che li lasciano ubriachi e malridotti.. Si studia il minimo indispensabile: “In terza liceo si studiava veramente poco. Gli impegni scolastici erano confinati nei pochi momenti lasciati liberi da scioperi, manifestazioni, assemblee, occupazioni, vacanze di Natale, carnevale e per chi poteva la settimana bianca, i cento giorni e la gita. Ecco: la gita. Un appuntamento tradizionale”. Dei quattro il Pennello, il più serio nello studio, non si fa condizionare dalla moda né dalle abitudini altrui.
Nel gruppo si delineano le prime simpatie politiche, le prime prese di posizione, le potenzialità di ognuno, può essere che si tratti di interesse per il giornalismo, può essere la musica. Intanto le canzoni sono inframezzate alla storia, non c’è momento di libertà in cui non si spari la musica a palla. Studiano tutti i modi per far colpo su una ragazza, meglio se carina, di vivere una storia, di avere la prima esperienza di sesso, fortunati se le più belle li degnano di un sorriso o di qualche mezza promessa che li faccia sognare, ma pronti ad adattarsi anche alle “cozzette”. Nell’attesa e nella speranza si proiettano emozionanti filmini mentali. Questi ragazzi stanno cercando la loro strada, “non vogliono cambiare il mondo come nel ‘68’”. Orgogliosi di essere all’ultimo anno, si sentono sicuri davanti ai più piccoli, attendono la libertà dai compiti e dalle interrogazioni, desiderosi di gestire da soli la propria vita. Ma è davvero così? Il senso di vuoto arriverà subito dopo l’esame: “era difficile immaginare un futuro senza la scuola, senza quello strazio, senza la campanella, l’interrogazione, il compito, la noia, il desiderio di essere altrove. Era difficile immaginare un futuro diverso. Ne avevano paura”. Magari avessero potuto “crescere restando ragazzi”!
Tutto regolare, come in ogni altra classe dell’ultimo anno delle superiori, in quel momento della vita, viene da pensare. Tutto come al mio liceo di tanti anni fa, come negli anni ’80 vissuti dai miei figli, penso io. Invece no. I ragazzi della III F sembrano crescere più in fretta: è successo che ad anno iniziato è arrivata in classe Menega, da Milano, autonoma nel pensiero e nelle scelte controcorrente, sicura. Le è toccato il posto accanto a Pennello – il meno ambito dalle ragazze e il meno angosciato dalla ricerca di una storia – tra la sottile invidia degli altri. Ne è nata una grande amicizia, la condivisione di esperienze musicali che Fabri non avrebbe mai immaginato, è nato il suo amore per Menega, peraltro impossibile da realizzare. Per un gioco malvagio della vita tuttavia Pennello ha perso all’improvviso anche la gioia di starle vicino. Sono questi stravolgimenti dei sogni che lo portano alla ribellione: non è importante ciò che gli altri si aspettano da te, che tu abbia un buon risultato alla maturità, che tu prosegua gli studi, è importante quello che scegli tu perché ti piace davvero, soprattutto se contiene un progetto che ad altri è stato negato: “Ecco, forse comincio a capire. Forse ci ha voluto dire che dobbiamo capire chi siamo, dove vogliamo andare, cosa vogliamo fare e che dobbiamo farlo in fretta, perché non abbiamo molto tempo. D’accordo Menega, ti prometto che lo farò. […] Te lo devo, Menega.”
Le vicende dell’ultimo anno, le gite, le feste, le rivalità per conquistare una ragazza, gli errori, il sesso, gli sballi, le delusioni, in particolare la fine di Menega, portano i quattro a leggersi nel profondo – come in tutti i romanzi di formazione- ma soprattutto li portano a capire l’enorme valore dell’amicizia che li lega. A lettura terminata sembra di avere percorso tutte le vie di Roma nelle auto prese in prestito dai genitori, mentre resta negli occhi la bellezza di un tramonto a Sabaudia, quando si diffondono le note di un basso elettrico che si è unito a una band all’improvviso, inaspettato.