I palestinesi cercano un accordo per lo Stato
A Ramallah nessuno avrebbe mai immaginato gli accadimenti del 7 ottobre e molti dei suoi effetti.
Ma uno più di tutti: l’unità palestinese.
Per il futuro di Gaza, il mondo punta su Mahmoud Abbas (Abu Mazen), che però, nel suo incontro del 5 novembre con Antony Blinken, è stato chiaro: serve una soluzione globale. Altrimenti, sarebbe come arrivare al potere su un carrarmato israeliano. E quindi, Ramallah in questi giorni è tutta un fermento. E per la prima volta dopo anni, i nomi che contano si ritrovano tutti allo stesso tavolo. Oppure online. Per decidere il ruolo di Hamas.
Perché per i palestinesi non è pensabile escluderla. Anche per quelli che la detestano: includerla, dicono, è il solo modo per gestirla. Per Israele, va da sé, è l’opposto: si tratta di eliminarla e basta.
Come venirne fuori? I palestinesi ora hanno una proposta condivisa.
La forza principale era e resta Fatah. Che è divisa in tre. La Fatah che si oppone a Hamas è quella di Mahmoud Abbas. Che è il presidente dell’Autorità Palestinese, ma ha 88 anni. E nessuno ha voglia di un assalto alla Muqata per cacciarlo. Con il rischio che crolli tutto. Ma i suoi fedelissimi non hanno seguito, non sarebbero mai eletti: con il potere, perderebbero affari e appalti. E quindi, sono aperti a un’intesa.
Un’intesa che per la parte di Fatah legata a Marwan Barghouti (il più carismatico, il leader della Seconda Intifada in carcere dal 2002 ma nei sondaggi più forte di Fatah e Hamas insieme) c’è già: le sue Brigate al-Aqsa sono tornate alle armi.
Resta la Fatah di Mohammed Dahlan. Il controverso capo delle Forze di Sicurezza a cui molti imputano la frattura tra Gaza e la Cisgiordania. Dahlan è allergico a Hamas quanto Abbas: ma è cresciuto a Gaza, a Khan Younis, insieme a Yahya Sinwar (il primo responsabile dell’organizzazione dell’attacco del 7 ottobre).
Dahlan vive a Dubai ora, è un imprenditore. Ed è tra gli artefici degli Accordi di Abramo: porta in dote la fiducia di Israele, e i dollari degli Emirati Arabi. Che distribuisce nei campi della Cisgiordania. In cui ha molti combattenti a libro paga. Utile contrappeso a Hamas.
Fuori da Fatah, c’è invece Mustafa Barghouti. Espressione della società civile, icona della non violenza e storico mediatore dell’unità nazionale, è quello che parla con Hamas. Ed è ascoltato in Europa.
E c’è poi Salam Fayyad. Economista a lungo primo ministro, è quello che ha modernizzato la Cisgiordania. La sua tesi è che uno stato va non solo rivendicato: va prima di tutto costruito. Esattamente ciò che ora serve a Gaza.
La proposta su cui stanno convergendo è un governo tecnico di transizione, per avere elezioni tra due, tre anni: a cose calme. Ma che sia un governo unico sia di Gaza che della Cisgiordania. Nominato dall’Olp allargata ad Hamas. La chiave è qui. Con un governo tecnico, si avrebbe un passo indietro di Hamas, e di tutti: ma Hamas conserverebbe la vittoria politica. Perché a Gaza, qualsiasi governo sarà meglio degli ultimi vent’anni di isolamento. E perché la questione palestinese è di nuovo in prima pagina.
[di Francesca Borri – tratto da La Repubblica]