Will & Ariel Durant, Le lezioni della storia, Edizioni Settecolori. Prima Edizione numerata di 1000 copie, novembre 2023, pag. 148, introduzione di Ferruccio de Bortoli, postfazione di Gabriele Bonfiglioli. Traduzione di Katia Bagnoli.
“E così i due docenti – forse per farsi perdonare la monumentale The Story of Civilization, fino al 1789, in undici volumi che fece vincere loro nel 1968 il Pulitzer per la saggistica – scrissero queste sorprendenti Lezioni della Storia.” Così Ferruccio de Bortoli nella introduzione alla “sintesi estrema, a tratti spericolata” di Will Durant (1885-1981) e Ariel Durant (1898- 1981). In poco più di cento pagine loro “analizzano la storia lungo dodici sguardi, prospettive, tendenze: geografia, biologia, razza, carattere, moralità, religione, economia, socialismo, governo, guerra, crescita, progresso e declino”.
I Durant affermano che «la maggior parte della storia è frutto di congetture, per il resto è pregiudizio” e che “la storia umana è un puntino nello spazio e la sua prima lezione è la modestia. Da un momento all’altro una cometa può avvicinarsi troppo alla Terra e far schizzare il nostro piccolo globo su un’orbita impazzita, o soffocare con i gas o il calore i suoi umani e le sue pulci; o un frammento del sole ridente può sgusciare via […] e caderci addosso in un abbraccio selvaggio che metterà fine a ogni dolore e a ogni pena”. Storia come risultato di comportamenti umani, non riducibile a un elenco di battaglie e vittorie, senza disconoscere però che determinati momenti hanno davvero cambiato il suo corso. Storia analizzata a partire dalle civiltà antiche, per riconoscere che non è cambiato nulla nei comportamenti umani, dettati in ogni tempo da avidità, combattività e orgoglio; da desiderio di cibo, terra, materie prime, carburanti, dominio; che “lo stato ha i nostri stessi istinti senza i nostri freni” e che “le cause della guerra sono le stesse cause della competizione tra individui”. Per questo “la guerra è una delle costanti della storia, e non si è ridotta con la civiltà o con la democrazia. Negli ultimi 3421 anni di storia documentata, solo 268 non hanno visto guerre. Abbiamo riconosciuto che attualmente la guerra è la forma estrema di competizione e selezione naturale nella specie umana […] La guerra è il modo di nutrirsi di una nazione”.
La natura, secondo i Durant, ama la differenza su cui interviene per fare le selezioni necessarie alla evoluzione, non vede i colori che sono alla base delle “antipatie razziali”: noi tutti siamo il risultato di intrecci di civiltà, di mescolanze etniche e “non c’è cura per queste antipatie se non un’educazione più ampia e diffusa” volta all’apertura al diverso da noi.
La cultura, l’educazione, i principi morali, il rispetto delle leggi, la capacità di accogliere idee nuove senza scardinare le sicurezze acquisite, sono i mezzi a disposizione dell’individuo che altro modo non ha per intervenire sul corso della storia dove, “in una lotta in cui la bontà non è favorita, le disgrazie abbondano e la prova finale è la capacità di sopravvivere”. Se “ai crimini, alle guerre e alle crudeltà dell’uomo si aggiungono i terremoti, le tempeste, gli uragani, le pestilenze, i maremoti e altri «interventi divini» che periodicamente funestano la vita umana e animale, la somma delle prove suggerisce una fatalità cieca o comunque imparziale”. Tuttavia non tutto fa disperare, infatti, se nell’analisi del passato si riscontrano corruzione, disonestà diffusa in ogni campo – addirittura più di oggi – è pur vero che “anche nella storia documentata troviamo così tanti esempi di bontà, persino di nobiltà, che possiamo perdonare, ma non dimenticare, i peccati. Le dimostrazioni di carità hanno quasi eguagliato le crudeltà dei campi di battaglia e delle prigioni”.
Si auspicano intelligenza e saggezza collettive per sostenere la migliore forma di governo – la democrazia – là dove si è raggiunta, pur nella consapevolezza che niente è per sempre, che “le civiltà nascono, fioriscono, declinano e scompaiono”; che oggi “l’istruzione si è diffusa, ma si devono “instaurare uguali opportunità educative”; che l’intelligenza è perennemente ritardata dalla fertilità dei poveri di spirito”. Sul concetto di progresso si ammette che il “progresso scientifico e tecnico ha comportato una certa mescolanza del bene con il male […] che la scienza è neutrale: ucciderà per noi con la stessa facilità con cui guarirà le malattie, e distruggerà per noi più facilmente di quanto possa costruire”. In quello che chiamiamo progresso non è aumentata la felicità, tuttavia, se “l’educazione è trasmissione della civiltà, non c’è dubbio che stiamo progredendo”. Davanti alla possibilità che gli eventi si ripetano secondo corsi e ricorsi, Will e Ariel Durant rimangono su una concezione aperta che riconosce l’imprevedibilità delle azioni umane: “non c’è certezza che il futuro ripeta il passato. Ogni anno è un’avventura”.