23 Novembre 2024
Sun

Matteo Nerbi, Utrum e altri racconti di Voce Narrante, GFE Edizioni 2024, pag. 128.

Una vera sorpresa letteraria sono i racconti di Matteo Nerbi, Utrum e altri racconti di Voce Narrante: non capita spesso di ascoltare musica su invito di uno scrittore mentre si sfogliano le pagine del suo libro, un sottofondo musicale che accompagna le situazioni, lo stato d’animo, le paure e le emozioni dei suoi personaggi, come la colonna sonora di un film. Se si individua la musica come uno dei protagonisti, quasi una prima donna che lega tutto come un filo sotteso, l’altro personaggio è senza dubbio Voce Narrante, infatti l’autore si affida concretamente a una Voce che interviene, riflette, guida il lettore, originale e intrigante, di vago sapore manzoniano.

Avvolge e cattura il linguaggio di Nerbi, – che nella vita è un avvocato civilista abituato a ben altro registro – un linguaggio leggero come ali di farfalla, che tocca il dramma e il dolore in punta di dita. Il Fantastico mondo di Zic, il primo racconto, ricorda la tenerezza di Winnie the Pooh, di Milne, infatti porta in una dimensione fantastica, senza dare la possibilità di definire Zic se non attraverso i suoni, mentre sale verso la cima di una montagna e tutto intorno è silenzio. Senza ascoltare quella musica non si capisce il mondo di Zic, abitato da scoiattoli dalle ali di farfalla e aquile dal becco rosa e la criniera di leone, con uno gnomo paffutello sulla vetta, che fischietta e regala cioccolata.

Poi, come in una sorta di realismo magico, all’improvviso cambia la scena, e scopriamo una mamma e un bambino, Anghela e Valeri, soli e silenziosi nella casa vicina a un viadotto, con lo sguardo fisso di lui che vaga col pensiero e immagina mondi. Un sorriso spezza all’improvviso la tensione e l’attesa, e contiene tutta la speranza di ogni madre.

La paura, il male di vivere, si concentrano nella figura di Ted, protagonista del secondo racconto, Utrum. Nerbi ci porta con lui sulla metropolitana insieme al fratello, un personaggio piegato su se stesso, timoroso della gente, che evita ogni contatto, che cammina a occhi bassi per il terrore di incrociare qualche sguardo. Un racconto dal ritmo incalzante e carico di mistero, dove Nerbi semina rarissime tracce di verità. C’è uno sdoppiamento doloroso di personalità sottolineato dalla musica e dalla pittura, infatti conoscenza musicale, pittorica – qui prevalgono le atmosfere di Turner-, letteratura, filosofia, sono impastate con le storie senza ostentazione alcuna, perché ognuno di noi è il risultato di quanto ha conosciuto, vissuto e sperimenta ancora.

Nel vuoto e nella solitudine che contraddistinguono i personaggi, il sorriso talora compare come una mano tesa, in quel bisogno di amare, di essere amati e compresi che attraversa i racconti. Scompare la dimensione spazio temporale: possono capitare due albe senza che sia scesa la sera, che le stagioni si susseguano veloci e ancora di più i giorni, di cui in Antrum (ciononostante) si perde il conto.

Il cammino in salita, l’ascesa, il tunnel curvo che nega la luce dell’uscita, il procedere lungo un dirupo, il sentirsi braccati, le fiammelle che rischiano di spegnersi, tutto diventa metafora del viaggio della vita, con evidenti rimandi letterari che si fanno palesi quando scopriamo versi danteschi adattati alle esigenze narrative, quando tre donne appaiono per guidare chi si sente smarrito. Forte è il contrasto di luce e tenebra, di giorni e di notti, di rabbia e di quiete, di false apparenze e verità, di musica e silenzio, di vita e morte, nei quattro racconti che scavano dentro la mente e il cuore, mettendo a nudo la fragilità umana, la difficoltà di trovare equilibrio. Se talora il vento rischia di spegnere la fiammella della vita, questa resiste, nonostante tutto, perché in “dieci, cento, mille libri differenti” si può trovare aiuto per alimentarla.

Il forte legame alla vita si legge nella attenzione ai dettagli, con Voce Narrante volta a scoprire che cosa nascondono, in quel filosofeggiare sui dettagli stessi che sfuggono, eppure sono fondamentali. Il richiamo della vita si fa struggente in Fretta, Moka, Freddo, dove i gesti della quotidianità diventano fonte di nostalgia, dove si fatica a staccarsi dalle stanze che li hanno contenuti, anche dai suoi silenzi che tagliano come lame: la verità si scopre solo in una dimensione diversa, diventati tutt’uno con l’invisibile intorno a noi. Allora quella verità può stupire, far sorridere ma anche arrabbiare: “E forse, dallo spavento, il Sig. Marco sarebbe morto di crepacuore, così, tra morti, Lei gli avrebbe potuto urlare in faccia quanto stronzo fosse”.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.