Carolina Bandinelli, La più brava, Nutrimenti Edizioni 2024, pag. 260.
Non è da tutti – donne e uomini compresi – rendere pubbliche le riflessioni, addirittura la vita più intima, perché potrebbero suscitare stupore, critica: la buona educazione e il senso del pudore le tengono sotto controllo. Carolina Bandinelli crea un personaggio femminile, Emma, portandoci dentro ai suoi pensieri, in un racconto duro, oggettivo, senza sbavature di commozione o di dolore.
Il pensiero vola come il vento, basta niente per evocare situazioni, immagini, momenti, ricordi appartenuti al passato, che si insinuano improvvisamente nel presente aprendo finestre su ciò che siamo stati, su quello che ci ha formato. Emma ha trentasei anni, cresciuta a Firenze, vive a Londra e insegna in una università delle Midlands che raggiunge ogni giorno con ore di viaggio: deve prendere il treno da Greenwich a St. Pancras, poi la coincidenza per Coventry, che non deve perdere perché metterebbe e rischio la sua lezione e “quindi teoricamente anche il suo posto di lavoro”. Ha invitato delle amiche a cena e penserà alla spesa mentre torna a casa: è più il tempo del viaggio di andata e ritorno che quello delle ore di lavoro, ne è consapevole, come del fatto ormai accettato di essere una expat che lavora in mezzo ai brexiteers. Alle spalle ha una famiglia separata, con il padre che se n’è andato a vivere con un’altra lasciando lei, il fratellino Ettore e la madre in difficoltà, tanto che la donna si è dovuta appoggiare alla sorella Ada, la zia che ha avuto molto peso nella sua crescita e formazione.
Emma sta per comprare una casa dopo avere vissuto a lungo in appartamenti condivisi e case in affitto: nonostante abbia un ottimo lavoro, visti i prezzi degli immobili a Londra, si può permettere solo un appartamento di “sessanta metri quadri ricavato all’interno di un cubo di cemento brutalista con la facciata di mattonelle un po’ sporche e un po’ storte, la porta d’ingresso piccola e un ballatoio la cui ringhiera si sta arrugginendo”, l’Appartamento in Salita, che secondo il suo compagno T. – ormai un compagno fisso – ha molte potenzialità.
In un’unica giornata, tra andare e tornare da Coventry, Emma passa in rassegna la sua storia, a cominciare dalle amicizie dell’infanzia, dai rapporti di amore e gelosia tra bambine che ormai sono donne adulte, le stesse che avrà a cena. Ma anche nella famiglia della zia ha avuto esperienze che non ha confessato a nessuno, ma rimangono come una ferita. Ora che si è lasciata alle spalle le notti di sesso e di alcool, di canne rollate, di scelte senza amore, di una serie di partners di una notte, di mancanza di progetti tranne quello del lavoro, – si è presa cura solo di una gatta – ora che le amiche sono madri, Emma si interroga su una propria maternità, sugli obblighi che comporta e su ciò che dona. Di che cosa parlerà con loro, prese da esigenze diverse dalle sue? Senza dubbio si parlerà di maternità, anche lei dovrà esprimersi: “Si rende conto che per anni ha aspettato che venisse quel desiderio di cui parlano tutte, con paura, anticipazione, e anche lo snobismo di deridere quello che credono di non poter perdere. Ma quel momento continua a non arrivare. E quindi ancora non sa che donna ha deciso di essere, o che donna è”.
Lei ama la musica e la scrittura, ama pensare – ha un mondo interiore vasto e profondo -. Sceglierà di proiettare se stessa nel futuro attraverso un figlio, o sceglierà la libertà da ogni forma di sacrificio materno, senza sentirsi deprivata e sminuita come donna?