21 Novembre 2024
Words

L’altro Orban. Il futuro dell’Ungheria

Tra 1 e 3 agosto si è tenuto il festival del Matthias Corvinus Collegium a Eszstergom, a nord di Budapest sul confine con la Slovacchia segnato dal corso del Danubio. Tra i partecipanti Cristopher Rufo, attivista conservatore – come si definisce – che mesi fa passò alla stampa statunitense documenti a lui inoltrati, comprovanti il plagio accademico seriale dell’allora direttrice di Harvard. La quale poi si dimise in seguito allo scandalo.
Oltre a Cristopher Rufo e al direttore della compagnia petrolifera nazionale MOL, una pletora di invitati del mondo della cultura e della civiltà ungherese. MCC, questo l’acronimo del Collegium Corvino nominato in onore di re Mattia, grande unificatore del Regno nel Rinascimento, è in primo luogo la leva del potere di Fidesz – partito orbaniano – per gestire le nuove generazioni.
È anche un progetto pedagogico di lungo respiro, in cui il programma è dedicato principalmente ai mezzi educativi, a costruire e mantenere una nazione.

Nel corso dell’intervento conclusivo, a porte chiuse e senza diretta stampa, il direttore politico Balasz Orban – nessuna parentela col primo ministro (lo definiremo d’ora in poi Balasz per evitare equivoci) – ha tracciato una mappa per lo sviluppo dell’Ungheria in seno al centro Europa.
Di fatto ha riconosciuto che il Paese non ha risorse o materie prime, eccezion fatta per una ricerca in corso da parte di MOL. La sua situazione è esattamente come quella italiana ma con questa preziosa differenza: l’Ungheria è il nodo della logistica del comparto energetico. Grazie all’interconnessione per il gas Slovacchia-Ungheria, alla pipeline Arad-Szeged, alla pipeline per il gas Turkish Stream, e a quella per il petrolio Baratsag, l’Ungheria è il punto del passaggio fondamentale per gli anni a venire.
Fondamentale, ma critico. L’Ungheria ha preferito, sostiene Balasz, diversamente dalla Polonia e dai Paesi Baltici, rinunciare al grosso obolo americano per la difesa in lunghezza contro la Russia. Per Balasz non era utile sul lungo periodo diventare un mero avamposto militare. Ma ha riconosciuto, con gustoso paradosso umoristico, “se fossi estone avrei fatto come hanno fatto loro.” Ma questo è il punto dirimente. L’Ungheria riconosce di aver bisogno delle nuove generazioni. Ricordiamo che Balasz è una figura non immaginabile nello scenario italiano: 38 anni, ex parlamentare e direttore politico del primo ministro. Una figura simile alla sua esiste solo per il numero 10 di Downing Street. Serve tenere a mente anche questo quando si leggono le fole della stampa italiana e del suo circo mediatico.

Balasz sostiene poi di essere nazionalista ma non tanto patriottico. “Patriottico” anche in Ungheria è un termine più ambiguo, forse pernicioso. Riconosce che l’Ungheria ha delle similarità strutturali a livello di società e apertura dei mercati con Singapore e, alla base, il suo conservatorismo richiede una complessa spiegazione storico-culturale, mentre per l’argomentazione liberale bastano risposte da prontuario più facili e rapide. Che sono le stesse idee espresse dalla frangia di conservatori americani coagulati intorno a J. Vance e allocati da pochi anni in Ungheria in altri istituti come il Danube. Ecco perché MCC costruisce sul lungo periodo con le nuove generazioni in modo compatto e Balasz, nel board di MCC, è il chairman.

Quando a fine conferenza ha preso parola una ricercatrice turca, Balasz ha avuto piacere di ricordare che l’Ungheria è l’unico Paese europeo membro del Turkish Council. Questo perché ci sono origini comuni tra i due Stati nel background culturale. Da qui, ha aggiunto, la frustrazione liberale per l’intesa dell’Ungheria–acerrima difensore dei confini nazionali specialmente dopo la crisi migratoria siriana del 2015–con la Turchia musulmana.
Altro nodo: come costruire le nuove generazioni se si assiste a un calo demografico? Qui sovviene il ricordo di un aforisima di Vikto Orban: si possono elaborare tutti i piani che si vuole “ma se le donne decidono di non fare figli, fine del discorso”.

Attualmente l’Ungheria dedica il 4% del PIL alle politiche familiari ma piuttosto che usare incentivi finanziari (o disincentivi, come le multe sovietiche per chi era senza figli) per tenere stabile la crescita della popolazione, Balasz si rende conto che si tratta semmai di trasformare la cultura. Ma come fare?
Il direttore politico del primo ministro ungherese non ha accennato se non di passaggio a politiche ad hoc (“anti LGBT) quali mezzo per aumentare la popolazione. Politiche le quali, a ogni modo, hanno risollevato la soglia dal basso 1,4 figli per donna (ereditato dal governo socialista intorno al 2010) ma rimanendo pur sempre sotto la famosa soglia di sostituzione del 2,1 figli. Ascoltando questo giovane che si presenta cordiale e informale per raccogliere il favore dei junior, si aveva la sensazione che nell’Ungheria del futuro avremo molto di più che non l’opposizione alla sterile politica demografica progressista. Il suo progetto è ancora in fase di elaborazione.
E che elaborazione. Balasz ha scritto due monografie di taglio strategico sull’Ungheria.
L’ultimo libro di Balasz si intitola “Hussar Cut”, un po’ come a indicare la sciabola dell’Ussaro che taglia il nodo gordiano. Porta come sottotitolo “Strategia ungherese per la connettività.”
Sarà bene citare un rapido passaggio dal volume uscito in fresca traduzione inglese: “affinché funzioni una strategia basata sulla connettività lo Stato ha bisogno di: stabile leadership politica; aiuto di attori economici esterni; istituzioni rilevanti a livello internazionale che aiutino i decisori politici (think tank, università); profondo legame a livello regionale; bilanciamento di destinazione d’uso delle risorse a fini domestici e di politica estera; cittadini ben istruiti”.
Come si vede si tratta di un volume meritevole di circolazione anche da noi, facendoci grazia di una traduzione meccanica (realizzata con Google) come quella che invece purtroppo è stata inferta da Giubilei editore al precedente volume di Balasz.

Forse questi cittadini istruiti invocati per il futuro da Balasz, i quali oggi al festival di MCC hanno 20 anni e si spostano con borse di studio analoghe a quelle di altri presigiosi atenei europei, saranno in grado di dare una risposta alla domanda “come cambiare la cultura?”
Forse invece non basteranno questi cittadini ungheresi istruiti per le sfide venture perché come ha riconosciuto Balasz il suo popolo vuol godere della sua libertà dopo le varie esperienze centralizzatrici (Asburgo, sovietici…), mantenendo una sua mentalità anarchica all’interno della società civile che non vuole ricevere dettami in materia di politica familiare.