19 Dicembre 2024
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Siria, la caduta di Assad

Cinquant’anni di dominio incontrastato sulla Siria, di cui quasi quattordici nel vortice di una guerra civile. Tutto questo è stato spazzato via in solo 11 giorni, dopo che il 27 novembre scorso i ribelli siriani hanno avviato una travolgente offensiva contro il governo di Bashar Al-Assad, salito al potere alla morte di suo padre Hafez Al-Assad nel 2000. Questa notte gli insorti hanno dichiarato di aver preso il controllo di Damasco, capitale del paese, proclamata “libera”, mentre circolano notizie sulla fuga del presidente Assad a bordo di un aereo speciale diretto verso una destinazione ignota. Il gruppo principale dell’offensiva, iniziata nel nord, è il movimento jihadista Hayat Tahrir al-Sham (HTS), guidato da Abu Mohammed Al-Jolani. Il leader ribelle, negli ultimi giorni, ha iniziato a usare il suo nome originale, Ahmed al-Sharaa, al posto del suo pseudonimo di battaglia. La mossa fa parte di una più ampia operazione di immagine, volta a proporre HTS e il suo leader come interlocutori presentabili e lontani dagli aspetti più radicali del jihadismo sunnita. La caduta di Assad, impensabile fino a poche settimane fa, apre scenari nuovi per il paese e per la regione e rappresenta certamente un punto di svolta.

La fine di Assad?
La coalizione di gruppi islamisti e filo-turchi ha dichiarato in nottata che “Damasco è libera dal tiranno Bashar Al-Assad”. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, una ong con sede a Londra che si avvale di una rete di attivisti sul campo, ha confermato che Assad ha lasciato l’aeroporto della capitale, mentre le forze di sicurezza si sarebbero ritirate subito dopo il decollo dell’aereo presidenziale. La destinazione del presidente (ormai ex) non è nota. I ribelli hanno descritto questo momento come una liberazione attesa da anni per sfollati e prigionieri. Uomini armati non identificati hanno occupato l’edificio della radiotelevisione siriana, costringendo il personale ad abbandonare i locali. Migliaia di persone si sono radunate nella centrale piazza degli Omayyadi, vicino al ministero della Difesa e al comando dell’esercito e statue degli Assad – compreso il padre Hafez e il figlio Basel (morto in un misterioso incidente nel 1994) sono state abbattute in varie località. Gli insorti hanno annunciato anche la conquista della prigione militare di Saydnaya, situata circa 30 chilometri a nord di Damasco, diventata celebre per il trattamento disumano riservato ai detenuti da parte degli apparati di sicurezza del regime.

La Siria è persa?
Poco prima dell’annuncio su Damasco, HTS aveva rivendicato anche il controllo completo di Homs, terza città del paese verso cui il gruppo islamista era diretto dopo aver conquistato Hama. L’emittente panaraba Al Jazeera ha dato notizia di festeggiamenti in città, con folle radunate alla “rotonda dell’orologio” che inneggiavano alla caduta di Assad. Negli ultimi giorni, con l’attivazione di gruppi armati anche nel sud del paese, i ribelli hanno iniziato un vero e proprio accerchiamento della capitale, la cui caduta era solo questione di ore. L’avanzata delle forze antigovernative è stata estremamente rapida, cogliendo impreparate le truppe regolari, complice anche il mancato intervento dei principali alleati di Assad: la Russia e l’Iran, tramite i gruppi affiliati a Teheran come il partito-milizia libanese Hezbollah e combattenti sciiti iracheni. Il regime che ha governato la Siria per più di mezzo secolo si è ritrovato con le spalle scoperte, perdendo il controllo delle maggiori città del paese nel giro di una decina di giorni.

Cosa succede adesso?
Siamo all’ultimissimo capitolo di una storia sanguinosa, iniziata nel 2011 con una serie di manifestazioni contro Assad, sfociate in una guerra civile, sfociata a sua volta in una guerra regionale e internazionale. Ora inizia una difficile fase di transizione, in cui gli equilibri di potere saranno dettati in gran parte dagli avanzamenti sul campo. Poco dopo l’annuncio dei ribelli, il primo ministro siriano Mohammed Al-Jalali ha dichiarato di aver avuto il suo ultimo contatto con Assad la sera precedente e di non conoscere l’attuale posizione del presidente. Intervistato dall’emittente panaraba Al Arabiya, Al-Jalali ha rivelato di aver parlato con il leader del gruppo HTS, sottolineando l’importanza di preservare le istituzioni statali. Il premier ha inoltre ribadito la sua disponibilità a collaborare con qualsiasi leadership che sarà scelta dal popolo siriano. Restano da sciogliere diversi nodi a livello territoriale. La zona costiera, dove si concentra buona parte della popolazione alawita (che sostiene Assad) e che ospita le basi russe di Tartus e Latakia, non è ancora sotto il controllo degli insorti. Probabile che quest’area sia oggetto di negoziati tra Iran, Turchia e Russia, i cui ministri degli Esteri si sono riuniti ieri a Doha per decidere il futuro assetto del paese. Il nord-est della Siria, invece, è nelle mani delle Forze democratiche siriane (SDF) a guida curda, che nei giorni scorsi hanno guadagnato terreno a ovest dell’Eufrate a scapito del regime. Partecipando, in sostanza, allo smembramento di quella che è – o fu – la Repubblica araba di Siria, guidata dagli Assad.

Il commento
“Il futuro assetto politico della Siria sarà una questione spinosa. Il fronte ribelle non è omogeneo e per questo le varie sigle hanno effettuato una vera e propria corsa per stabilire chi avrebbe preso la capitale per primo. Non ci sono dubbi, però, sul fatto che HTS ha rappresentato la spina dorsale militare, e anche diplomatica, di questa travolgente offensiva. Al-Jolani ha lavorato molto in questi giorni per offrire un’immagine ‘rispettabile’ di sé e del movimento che rappresenta, mettendo da parte gli aspetti più legati al salafismo jihadista. Il leader ribelle, inoltre, ha già interloquito direttamente (sebbene dietro le quinte) con vari attori locali e internazionali, tra cui Russia, Israele, Iraq e Giordania, comportandosi come il leader di fatto del nuovo governo siriano”.

[a cura di Francesco Petronella, ISPI – fonte mappa: Syria Liveuamap / Al Jazeera]