Alessandro Barbero, Romanzo russo, Sellerio, Palermo 2025
Bruxelles, a fine gennaio. Le foglie sono quelle di platano. Quando cadono impiegano settimane a sfaldarsi, se nel frattempo non piove. Gli ultimi giorni ha piovuto insistentemente e le foglie sono derelitte e lacere. L’ex ambasciatore azero che ha dato le dimissioni facendosi licenziare in uno dei tanti scandali che passano subito dimenticati, sostituiti da altri, ha ceduto a se stesso e raccontato.
Gli avevano detto che un bellissimo romanzo di autore italiano, “Romanzo russo” di Alessandro Barbero, era ambientato nelle “sue” Baku e Mosca negli anni in cui studiava lui, tra 1987 e 1991.
A quel punto l’ex ambasciatore, di cognome Mammadov, che viene da Muhammad come anche quel Mammadev che compare nel romanzo storico di Barbero, si è sentito liberato.
Quella scuola di lingue a cui aveva accennato altre volte dicendo di avervi studiato lingue, è stata finalmente riepilogata così nel breve pranzo prima della passeggiata sul corso coperto di foglie di platano: la piscina dove pescava il GRU, il servizio anche “diplomatico” dell’Unione sovietica.
Il punto è che quando si parla si può e si deve essere documentati, soprattutto quando si desidera sapere. Con tatto si espone quel che si sa. Con maggior sapienza l’interlocutore spiegherà quello che serve per completare il quadro: e cioè che a fine anni Ottanta chi sapesse arrivare dall’Azerbaigian a Mosca per studiare alla scuola delle élite, viveva bene con 800 rubli mensili visto che per mangiare fuori ne bastava 1, di rublo, e per il riscaldamento mensile giusto 5 rubli.
Più o meno come nel romanzo di Barbero, concepito dal giovane storico a 29 anni nel 1988 e stampato nel 1998. Dopo lo Strega vinto nel 1996, a cui era stato presentato da Busi – che si insinua anche in “Romanzo russo” in pagine di felici monologhi interiori scambiati tra scrittore e personaggi.
I caratteri del romanzo di Barbero sono un giurista, Nazar, una storica, Tanja, e un attore ebreo, Mark. Le loro vite non si toccano mai direttamente e rappresentano i tipi di una fine del mondo sovietico che Barbero riesce a cogliere con la giusta distanza scrivendo e riscrivendo nel corso di dieci anni.
Oggi quel suo romanzo è ristampato nella Collana blu di Sellerio, pur con alcuni refusi dovuti evidentemente a un uso affrettato della scansione (peccato che tutti i “Già” diventino “Già-a”).
A questo romanzo sarebbe occorsa una prefazione, del tipo “26 anni dopo” da parte di Barbero. Peccato perché il testo ne avrebbe guadagnato. Ma sono a disposizione su YouTube delle interviste che possono servire. Come questa https://youtu.be/LsWimM03SNY?si=rmfGSIETUSFKeI-Z
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Cosa ci dice “Romanzo russo”? Racconta la sua vicenda con personaggi fittizi e con comparse realistiche come il potente uomo della sicurezza azera Aliev padre (azero), il cui figlio oggi regge il Paese. Nel cambio dei regimi rispetto al 1988.
Azerbaijan. Un paese sciita musulmano dentro l’Unione sovietica. Un tassello nel mosaico etnico sovietico. Viene ucciso un muftì che, pare, stava armando la rivolta etnica contro i russi. Come avveniva nell’Ottocento del Dagestan raccontato da Tolstoj in “Chadži-Murat” ripreso per via di allusione da Barbero in un dialogo stupendo tra un imam e un azero del KGB.
Un testo che racconti tanto bene la Russia in via di romanzo scritto da europeo raramente capita per le mani. “Casa Russia” edito poco prima di Barbero da le Carré è venuto meglio come film con Connery che non come romanzo, tronfio, col finale (to spy is to wait) venuto meglio nel “Conte di Montecristo”: “attendere e sperare.”
Per dire che scrivendo a ridosso degli avvenimenti, anche facendolo a distanza, è dura essere onesti. Barbero ci riesce e ci consegna il suo amore per la letteratura russa (alcune pagine sono un pastiche quasi alla Roberto Longhi, solo che qui si imita Bulgakov e non gli antiquari d’arte) e la sua fede in quel che era il sistema. Anche con ironia.
Certo, Barbero si diverte anche. Stupende le pagine di dialogo tra il giudice Nazar e il figlio che impara a parlare. C’è dell’autobiografia di Barbero, è tutto molto pulito, diretto e non svagato. Pur nel divertimento quando il romanzo si fa giallo: ma insomma, chi ha ucciso il muftì, quasi fossimo (ancora) al “Nome della Rosa”?
Alla fine il responsabile salterà fuori. Anche se, vista l’ubicazione di parti del romanzo a Baku e dando ragione a Cecov, “fossi nato nel Caucaso avrei scritto fiabe.”
Invece qui c’è un delitto e dentro le Matrioske dei responsabili non c’è niente o magari, come nella fiaba popolare raccolta da Afanasiev e citata accuratamente da Barbero, “dentro l’ultima scatoletta la morte.”
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L’ex ambasciatore Mammadov non è chiaramente quel Mammadev del romanzo di Barbero. Però mi piace pensarlo.
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“A volte penso che non sia valso la pena denunciare tutto. Che cosa ho ottenuto?”
L’ex ambasciatore cammina sul viale…